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•Abraham Lincoln e Jefferson Davis: due Presidenti a confronto quali Commanders in Chief
Testo di
Stefano Di Matteo

Pubblicato il 10/04/2024

Premessa
Appare utile per rendere meglio la situazione politica che si delineò durante la guerra civile, fare un raffronto e un paragone sull'operato di Abraham Lincoln, Presidente dell'Unione e Jefferson Davis, presidente della Confederazione, in merito esclusivamente alla conduzione della guerra stessa, in qualità di Commander in Chief.
I paragoni tra Lincoln e Davis sono inevitabili, e Lincoln invariabilmente, secondo la comune opinione, risulta migliore sia come uomo che come leader di guerra, in quanto risultato vincitore di tale conflitto. In effetti, un illustre storico una volta affermò che se l’Unione e la Confederazione si fossero scambiate i presidenti, il Sud avrebbe potuto benissimo vincere. Detto questo, non vi è intenzione di esaltare o denigrare i due Presidenti che agirono al meglio dello loro capacità e nel contesto nel quale si trovarono ad operare. Lincoln doveva preservare l'Unione ad ogni costo, Davis doveva cercare di salvaguardare il nuovo Stato nascente. Compiti che per ambedue si rivelarono difficili e immani e ognuno di loro fece di tutto pur di far vincere la propria causa.
Si fa presente che lo scopo del presente articolo non è quello di raccontare la vita dei due statisti alle cui biografie si rimanda agli esaustivi articoli presenti in questo sito, bensì di mettere a confronto le loro capacità strategiche nella conduzione della guerra civile.


A sinistra: Jefferson Davis, presidente degli Stati Confederati. A destra: Abraham Lincoln, presidente degli Stati Uniti
(Library of the Congress).

La figura del Commander in Chief
Commander in Chief” era una frase vaga per gli americani prima della guerra civile. La Costituzione Usa definisce il Presidente "Commander in Chief " delle forze armate della nazione, ma che cosa voleva dire, esattamente? Nessuno lo sapeva, perché gli Stati Uniti non avevano ancora combattuto una guerra che realmente avesse testato i poteri di guerra per qualsiasi presidente. I vari conflitti con le tribù native americane erano lontani sulla frontiera, la guerra del 1812 è stata di durata relativamente breve, e la guerra con il Messico nel 1840 fu breve e distante. Ma la guerra civile fu ingente, terribile e lunga.
Lincoln era quasi privo di esperienza militare, quando è diventato presidente nel 1860. Aveva servito per breve tempo come un ufficiale della milizia di stato dell'Illinois durante la guerra dei Black Hawk del 1832, non partecipando ad alcun combattimento, ma  ebbe "un buon numero di lotte sanguinose con i musquetos [ sic] ", come ha poi scherzato. Si distinse durante la guerra con il Messico principalmente come un ampio critico,  nel Congresso degli Stati Uniti, contro il presidente James K. Polk, considerando detta guerra un atto di aggressione. Lincoln sapeva molto poco di una guerra vera e propria, e ancor meno sulle immense complessità che caratterizza la collocazione degli eserciti moderni e delle marine.
Davis, invece, come vedremo in seguito, aveva un passato quale essere stato allievo della prestigiosa Accademia di West Point e come ufficiale dell'esercito si era distinto nella guerra Messicana e quindi aveva, sulla carta, migliori chances rispetto all'esperienze militari possedute da Lincoln, praticamente inesistenti.
Jefferson Davis e Abraham Lincoln avevano più in comune di quanto si sarebbe potuto pensare. Entrambi erano nativi Kentuckiani, ad esempio.  In un certo senso, il compito di Davis come comandante in capo  era molto analogo a quello di Lincoln. La Costituzione Confederata era quasi identica a quella degli Stati Uniti in merito a quanto disposto sui poteri di guerra presidenziali. Davis ha collaborato con diversi partiti politici e non ha sviluppato politiche proprie, e la Costituzione Confederata limitava la presidenza ad un unico mandato di sei anni, il che significava che, a differenza di Lincoln, Davis non ha dovuto affrontare la rielezione, ma, come  Commander in Chief della Confederazione, Davis ha affrontato molte delle stesse questioni che hanno afflitto Lincoln.
Lincoln esercitò il suo potere quale Commander in Chief con molto attivismo, trasformò il suo ruolo diventando molto potente sia sul Congresso che sui tribunali. Il suo attivismo iniziò quasi immediatamente con Fort Sumter quando arruolò le milizie statali, ampliò l'esercito e la marina, spese 2 milioni di dollari senza stanziamenti da parte del Congresso, bloccò i porti del sud, sospese l' habeas corpus in diverse località, ordinò l'arresto e la detenzione militare di sospetti traditori e emanò il proclama di emancipazione il giorno di Capodanno del 1863.

ABRAHAM LINCOLN
1) Personalità di Lincoln
Premesso che, a mio avviso, la personalità di Lincoln risulta molto complessa e piena di sfaccettature e, pertanto, meriterebbe un serio approfondimento, si cercherà di fare delle considerazioni generali sul rapporto tra il medesimo e la conduzione della guerra civile.
Gli storici moderni, come James M. McPherson -  rispetto alla storiografia più antica che, sicuramente in buona fede, ha cercato di mettere in ombra le capacità legali di  Abraham Lincoln rispetto a quelle politiche- ritengono che forse la più grande risorsa di Lincoln come avvocato era la sua capacità di semplificare i casi. Egli è stato in grado di ridurre anche i casi più complessi in alcuni punti chiave. Egli aveva le capacità di essere breve e chiaro, abbinate ad una straordinaria capacità di 'leggere' le giurie e influenzarle con i suoi argomenti persuasivi. Lincoln e il suo avvocato partner hanno gestito oltre 5.000 casi.
Leonard Swett, un avvocato collega di Lincoln, una volta disse: "Ogni uomo che ritiene Lincoln un uomo ingenuo, molto presto si sarebbe svegliato con la schiena in un fosso."
Premesso ciò, Lincoln adottò gli stessi metodi nella conduzione della guerra civile: appariva ingenuo e ignorante in materia, ma ben presto ebbe chiare le idee sul come comportarsi.
Nel suo studio sulla leadership di Abraham Lincoln in tempo di guerra, Tried by War, l'eminente storico James McPherson scrive che "nella vasta letteratura sul sedicesimo presidente... la quantità di attenzione dedicata al suo ruolo di comandante in capo è sproporzionatamente molto inferiore a quella della percentuale effettiva del tempo che ha dedicato a quel compito."  nonostante sia "l'unico presidente la cui intera amministrazione è stata vincolata dalla guerra".
La figura di Lincoln può definirsi, a mio parere, la caratterizzazione di un politico nel senso "moderno" del termine, avendo chiara la massima di Von Clausewitz, che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Per esempio, ha dimostrato di possedere una visione politico-strategica della guerra, conferendo o togliendo gli incarichi di vertice ai Generali, alla ricerca di quelli che servivano per vincere, non mostrando, al riguardo, scrupoli che un politico, in una situazione del genere, con una guerra così difficile da condurre, non può permettersi di avere.  Alla vigilia della battaglia di Gettysburg, ad esempio, è risultato decisivo sostituire il gen. Hooker con il gen. Meade. Lincoln, sia pure molto paziente con il gen. George B. McClellan, non esitò a esonerarlo dal comando quando gli esiti del conflitto non andavano a favore dell'Unione, cosi come non gli importava del fatto che i generali si fossero diplomati o meno a West Point, l'importante era conseguire dei risultati, ma ne parleremo più diffusamente in seguito.
Si ritiene fondamentale sottolineare le sue origini: non faceva parte di alcuna casta dirigenziale e non proveniva da una famiglia importante o facoltosa. Di origini, quindi, modeste era un uomo che era riuscito ad emergere, studiando e lavorando, fino a diventare avvocato, dimostrando una ferrea volontà di progredire nell'ascesa sociale.
Un professionista prestato successivamente alla politica. Dalla sua capacità di affermazione derivava forse la sua determinazione nel cercare di risolvere i numerosi problemi affrontati durante l'incarico di Presidente. Determinazione che Lincoln ha mostrato più volte nella conduzione della guerra.
La sua prematura scomparsa non ha permesso di vedere Lincoln operare in tempo di pace, in un momento delicato come quello
della Ricostruzione post guerra civile.
La grandezza di Lincoln non fu molto capita dai contemporanei e anche al giorno d'oggi è difficile, per alcuni, da comprendere. La personalità dell'uomo, il suo stile e le sue doti di dignità, di umiltà e sensibilità lo fecero diventare l'uomo-guida dell'Unione durante la guerra. Lincoln riuscì a definire gli obiettivi della nazione anche a livello di ideali, contribuendo a salvaguardare l'Unione. La sua morte prematura ed improvvisa fu una tragedia nazionale per tutti, Sud compreso.
All'inizio della sua carriera di Presidente gli giocò contro una certa dose di inesperienza, che però recuperò in seguito. Sottovalutò inizialmente la problematica della Secessione degli Stati del Sud, sperando di risolverla in pochi mesi.
Lincoln è stato l'unico Presidente degli Stati Uniti il cui mandato è iniziato e finito con una guerra; egli aveva una visione "realistica" del conflitto e, come tale, si è comportato. Non ha mai riconosciuto la Confederazione come Stato Sovrano e autonomo e considerò i Sudisti dei ribelli. La guerra civile americana, come sappiamo, è stata sanguinosissima e a volte crudele per entrambe le parti e Lincoln combatté per vincere.
Come sostengono alcuni storici (D.H.Donald, Mitchell) poteva andare molto peggio per il Sud rispetto a quello che effettivamente è successo, basta ricordare come sono finite le ribellioni dopo il 1848, in Europa.
Indubbiamente, la guerra civile ampliò i poteri del governo federale e pertanto il ruolo del potere esecutivo ne uscì rafforzato. Ma tutte le prerogative presidenziali che Lincoln esercitò devono essere ricondotte in quelle attività che i giuristi hanno definito War Power, cioè tutti quei poteri che un presidente deve necessariamente esercitare in tempo di guerra. Lincoln, senza dubbio, ne fece ampio uso. Chiaramente i critici di Lincoln ritengono che detto potere sia stato eccessivo e che egli abbia violato il dettato costituzionale.
Il dibattito su questo argomento esiste e si è riproposto anche per l'operato di altri presidenti USA quali F.D.Roosevelt durante la 2° guerra mondiale.
Comunque, l'esercizio dei poteri di Lincoln è sempre stato legato alle esigenze belliche ed egli cercò sempre, nelle sue scelte, il consenso del Congresso USA.
Jefferson Davis esercitò di meno detti poteri non perché non li volesse utilizzare, ma in quanto non aveva l'appoggio di un partito forte e organizzato- e oserei dire moderno- quale il partito Repubblicano di cui invece Lincoln, pur con delle divisioni interne, ne ebbe il pieno appoggio. Inoltre, nella Confederazione esisteva l'annosa questione dei diritti e delle prerogative degli Stati i quali furono contrarissimi ad un potere centrale forte ed autonomo.
E' interessante la seguente definizione data da uno storico su Lincoln: un misto tra un rivoluzionario pragmatico e un conservatore. Lincoln ha mostrato notevoli capacità politiche miscelando conservatorismo e innovazione. Da una parte egli ha forzato la mano in alcune occasioni (vedi l'episodio di Fort Sumter), dall'altro ha mostrato notevoli doti nell'arte del compromesso.
Lo storico James McPherson sostiene che, sia i poteri di guerra del presidente USA, che il moderno concetto di comandante in capo sono un'invenzione di Abraham Lincoln; affermazione forse alquanto esagerata, ma che rende bene come la guerra civile ha rivoluzionato il modo di intendere la tipologia di un conflitto moderno.

2) Le strategie di Lincoln
Che Lincoln abbia commesso, nel primo periodo della guerra, degli errori nella scelta dei comandanti è indubbio; d'altronde, all'inizio, che scelte avrebbe mai potuto fare? Però, quando la guerra andava male per il Nord e si è trattato di effettuare scelte coraggiose nella nomina di nuovi comandanti, Lincoln non si è mai tirato indietro anche a costo di attirarsi le critiche dell'establishment e dell'opinione pubblica. Mi riferisco all'incarico dato al gen. Meade e soprattutto al gen. Grant, quando venne nominato generale a tre stelle.
Quando chiamò la milizia statale al servizio federale il 15 aprile 1861, in seguito al bombardamento confederato di Fort Sumter, Lincoln dovette quindi affrontare una rapida prova di apprendimento come comandante in capo. Tuttavia, fu abbastanza rapido a capire come comportarsi; la sua esperienza come avvocato in gran parte autodidatta con un'acuta mente analitica gli ha permesso di imparare rapidamente il da farsi. Lesse e assorbì opere di storia e strategia militare; osservò i successi e i fallimenti dei suoi comandanti militari e di quelli nemici e trasse le opportune conclusioni; ha commesso degli errori e ha imparato da essi; ha applicato il suo ampio quoziente di buon senso per eliminare le carenze e le incertezze dei suoi subordinati militari. Nel 1862, la sua conoscenza della strategia e delle operazioni era abbastanza salda da giustificare la conclusione un po' esagerata, ma non del tutto sbagliata, dello storico T. Harry Williams: "Lincoln si distingue come un grande presidente di guerra, probabilmente, il più grande della nostra storia, e come un grande stratega "del tutto naturale” , migliore di tutti i suoi generali."
Questo encomio, secondo lo storico James M. McPherson, è fuorviante sotto un aspetto: Lincoln non era uno “stratega naturale”. Lavorò duramente per padroneggiare la materia, proprio come aveva fatto per diventare avvocato. Ha dovuto apprendere le funzioni di comandante in capo sul posto di lavoro. La Costituzione e il corso della storia americana prima del 1861 non offrirono molte indicazioni. L’Articolo II, Sezione 2, della Costituzione afferma semplicemente: “Il Presidente sarà il Comandante in Capo dell’Esercito e della Marina degli Stati Uniti e della Milizia dei diversi Stati, quando chiamati al servizio effettivo degli Stati”. Ma la Costituzione non definisce da nessuna parte i poteri del presidente come Comandante in capo.
Lo storico Gabor Boritt ha osservato che “l'aspetto più inquietante della politica militare di Lincoln era il ritmo drastico con cui venivano sostituiti i comandanti federali. Sul fronte orientale, ad esempio, nell'arco di due anni ha destituito il generale in carica per sette volte senza precedenti”.  In effetti, Lincoln cambiò comandanti finché non ne trovò qualcuno la cui visione della strategia dell'Unione e le cui inclinazioni  erano parallele alla sua. A volte, tuttavia, Lincoln non cambiò comandante abbastanza presto, vedi il caso del gen. McClellan, verso il quale egli manifestò una eccessiva pazienza nei confronti delle indecisioni del predetto generale.
Va osservato, però, a parziale difesa dell'operato di McClellan, il quale si dimostrò un eccellente pianificatore e organizzatore, che il medesimo dovette affrontare la Confederazione nel suo periodo migliore prima che i brillanti ufficiali Sudisti subissero il logorio della guerra in un momento successivo. Le sconfitte di McClellan non furono mai dei disastri e lasciarono sempre il nemico gravemente danneggiato. La sua scelta di andare a Richmond attraverso la penisola non era poi così sbagliata. Le difficoltà incontrate dal medesimo avevano origine dalle interferenze che giungevano da Washington. Il principio della guerra di McClellan era" la guerra condotta da gentiluomini" e non una guerra di conquista; con queste idee , McClellan non poteva certo andare a genio ai politici di Washington e allo stesso Lincoln. Non voglio difendere McClellan, ma forse, in quel periodo della guerra, l'Unione non possedeva generali migliori. Vedremo poi che il modo di fare la guerra da parte del suddetto Generale non si rilevò il metodo migliore per vincerla. Al momento, e non con il senno di poi, McClellan poteva apparire una buona scelta; il suo piano di prendere Richmond dal mare poteva essere valido. Nel 1862, altri generali non avrebbero fatto di meglio, come disse in seguito, il gen. Grant, l'aspetto che però era inquietante era il rapporto irrispettoso e arrogante che McClellan teneva nei confronti di Lincoln, quasi dimenticando che che egli era il suo Presidente.
Anche con il gen. Halleck le cose non andarono meglio, egli era il classico generale burocratico e aveva pessimi rapporti con i suoi subordinati, non era certo lui il generale che poteva vincere la guerra. Così scrive lo storico Craig L. Symonds: “Lincoln, nel 1864, aveva da tempo concluso che, nonostante tutta la sua conoscenza teorica, Halleck non aveva il temperamento necessario per dare ordini. Halleck offrì innumerevoli suggerimenti, ma quasi mai emanò un ordine inequivocabile; semplicemente non voleva comandare”
Lincoln non avrebbe mai potuto ignorare il contesto politico in cui venivano prese le decisioni sulla strategia militare. Come il premier francese Georges Clemenceau, mezzo secolo dopo, sapeva che la guerra era troppo importante per essere lasciata ai generali. In una società altamente politicizzata e democratica in cui la mobilitazione di un esercito di volontari veniva incanalata attraverso i governi statali, le considerazioni politiche inevitabilmente modellavano la portata e i tempi della strategia e persino delle operazioni. Come leader del partito che controllava il Congresso e la maggior parte dei governi statali, Lincoln, in qualità di comandante in capo, dovette costantemente destreggiarsi tra la complessa interazione della politica con la strategia nazionale e militare.
La questione della schiavitù esemplifica questa interazione. L’obiettivo di preservare l’Unione univa i popoli del Nord, compresi gli unionisti degli stati di confine. La questione della schiavitù e dell’emancipazione dei neri li divideva. Per mantenere il massimo sostegno, Lincoln inizialmente insistette sul fatto che la guerra era fatta esclusivamente per la preservazione dell'Unione e non una guerra contro la schiavitù.  Quando divenne sempre più chiaro che il lavoro degli schiavi sosteneva l’economia confederata e la logistica degli eserciti confederati, l’opinione del Nord si spostò verso l’idea di fare guerra anche alla schiavitù. Nel 1862, una strategia nazionale e militare che prendeva di mira le risorse nemiche, inclusa la schiavitù, emerse come un’arma fondamentale per l’Unione. Con il Proclama di Emancipazione di Lincoln e l’impegno repubblicano per un emendamento costituzionale volto ad abolire la schiavitù, tale politica divenne fondamentale  per le strategie militari contro la vitale risorsa confederata basata sul lavoro degli schiavi. L'abile gestione di questo processo controverso da parte di Lincoln fu una parte cruciale della sua leadership nella guerra.
Nel campo della strategia e delle operazioni militari, Lincoln inizialmente si rimise al generale in capo Winfield Scott, un eroe della guerra del 1812 e della guerra del Messico. Ma l'età avanzata, la cattiva salute e la mancanza di energia di Scott rendevano chiaro che non poteva condurre questa guerra. Il suo successore, George B. McClellan, si rivelò, per Lincoln. una delusione ancora maggiore. Né i generali Henry W. Halleck, Don Carlos Buell, John Pope, Ambrose E. Burnside, Joseph Hooker o William S. Rosecrans furono all’altezza delle aspettative iniziali. I loro difetti costrinsero Lincoln a diventare a tutti gli effetti il ​​generale in capo durante le campagne chiave. Lincoln a volte veniva persino coinvolto nella pianificazione delle operazioni e offriva importanti suggerimenti ai quali i suoi generali forse avrebbero dovuto prestare maggiore attenzione.
Anche dopo che Ulysses S. Grant divenne generale in Capo, nel marzo 1864, Lincoln mantenne un livello significativo di supervisione strategica, soprattutto riguardo agli eventi nella valle di Shenandoah durante la fine dell'estate del 1864. Il presidente non fu direttamente coinvolto a livello tattico, sebbene fu fortemente tentato di farlo quando George G. Meade non attaccò l'esercito della Virginia del Nord, intrappolato con le spalle al fiume Potomac dopo Gettysburg. A tutti i livelli politici, strategici e operativi, tuttavia, fu un pragmatico comandante in capo che perseverò attraverso le terribili prove causate da sconfitte e delusioni, fino al trionfo finale e alla tragedia della sua morte.
Concludendo, a mio avviso, Lincoln, a parte un inizio incerto e deludente, anche per colpa dei primi generali che occuparono posizioni di comando, pur privo di cultura militare, diventò un ottimo Presidente di guerra in quanto manifestò idee strategiche chiare insieme ad una grande determinazione a combattere, unite a quelle analoghe di Grant. Lincoln si rese conto che la priorità assoluta era quella di distruggere le forze avversarie e non quella di conquistare il territorio nemico che, in realtà, considerò sempre come territorio degli Stati Uniti.


Litografia del 1865 che raffigura Lincoln e i suoi comandanti. Da sinistra a destra: David D. Porter, David G. Farragut,
Abraham Lincoln, William T. Sherman. George H. Thomas, Ulysses S. Grant, PhilipH. Sheridan (Library of the Congress).

3)Lincoln e i suoi Generali
In qualità di presidente della nazione e leader del suo partito, nonché Comandante in capo, Lincoln era il principale responsabile della formazione e della definizione della politica nazionale. Dall'inizio alla fine, quella politica mirava a preservare gli Stati Uniti come una nazione indivisibile, e come una repubblica basata sul governo della maggioranza. Anche se Lincoln non lesse mai il famoso trattato Sulla guerra di Karl von Clausewitz , le sue azioni furono un'espressione perfetta dell'argomentazione centrale di Clausewitz: "L'obiettivo politico è lo scopo, la guerra è il mezzo per raggiungerlo, e i mezzi non possono mai essere considerati separatamente dal loro scopo".  Pertanto, è chiaro che la guerra non deve mai essere pensata come qualcosa di autonomo ma sempre come uno strumento di politica."
Lincoln, durante il suo mandato presidenziale, avrà anche fatto degli errori, ma ha anche avuto un ruolo più attivo e diretto nel delineare la strategia militare rispetto a quanto hanno fatto i presidenti USA nella maggior parte delle altre guerre. Ciò non era necessariamente per scelta, ma diventò una necessità per lui. La mancanza di addestramento militare di Lincoln lo indusse inizialmente a rimettersi, come sopra scritto, al generale in capo Winfield Scott, il soldato più celebre d'America. Ma l'età di Scott (75 anni nel 1861), la sua cattiva salute e la sua mancanza di energia costituivano un grosso peso per il presidente, era chiaro che, nonostante alcuni intuizioni geniali come il Piano Anaconda, Scott non poteva continuare ad esercitare la sua funzione. Lincoln rimase deluso anche dal consiglio di Scott del marzo 1861 di cedere sia Fort Sumter che Pickens. Il successore di Scott, il generale George B. McClellan, si dimostrerà una delusione ancora maggiore per Lincoln, soprattutto per l'atteggiamento sprezzante che il suddetto generale mostrava nei confronti del suo Presidente. A discolpa del comportamento dei primi Comandanti, vi è da dire che, in quel momento nessuno aveva idea di come condurre tale conflitto, infatti, esiste un detto, riferito alla guerra civile, che i comandanti impararono a fare la guerra, facendola. L'Accademia di West Point formava ottimi ufficiali in servizio permanente, ma era famosa per il suo Army Corps of Engineers i cui ufficiali si ritenevano inadatti per guidare eserciti di grandi dimensioni e poi non esisteva neanche una scuola di specializzazione per lo Stato Maggiore, senza contare la defezione degli ufficiali nativi degli Stati del Sud che, all'atto della secessione, lasciarono l'esercito dell'Unione per passare con la Confederazione. Comunque, gli ufficiali diplomatisi a West Point ebbero un ruolo predominante nella conduzione del conflitto, in entrambi gli schieramenti.
Lincoln, nonostante tali difficoltà, ha sempre tratto esperienza dai suoi Generali, dimostrando, nel corso della guerra, di possedere grande coraggio e flessibilità, non tenendo conto, a volte, dei consigli che venivano dal suo entourage e quindi rischiando in prima persona, come d'altronde era giusto che facesse visto che era lui il Presidente degli USA.
Cambiò sette volte i Comandanti dell'Armata del Potomac, effettuando scelte coraggiose quando sostituì il gen. Hoocker con il gen. Meade, alla vigilia della battaglia di Gettysburg che risultò a favore dell'Unione. Poi trovò sul fronte occidentale della guerra i due generali che gli fecero vincere il conflitto: Grant e Sherman. Specialmente Grant, nominato Comandante a tre stelle, con la sua aggressività nello sconfiggere il nemico, gli assicurò la vittoria, senza parlare delle invasioni delle truppe di Sherman che fecero terra bruciata degli Stati del Sud.
Grant, Sherman e Lincoln condividevano un approccio aggressivo alla strategia. Lincoln aveva perso la pazienza con i precedenti comandanti che non erano riusciti a dare seguito al successo sul campo di battaglia, non inseguendo il nemico. Un operatore telegrafico del Dipartimento della Guerra ha osservato che Lincoln “era talvolta critico e persino sarcastico quando gli eventi bellici non riuscivano a portare avanti una strategia militare che tenesse conto di tutti i teatri della guerra (Est ed Ovest), cioè una strategia che fosse coordinata in maniera unitaria".
Consideriamo lo stretto rapporto che si sviluppò tra Lincoln e il generale Ulysses S. Grant, quando si incontrarono di persona per la prima volta, nel marzo del 1864 e in molte occasioni da allora in poi. Lincoln identificò Grant come il tipo di generale che aveva sempre cercato durante la guerra, e poi lo difese dai critici e dai rivali che cercarono di far deragliare la sua carriera. Il sostegno di Lincoln a Grant, a mio avviso, è stato il contributo più importante dato dal comandante in capo che ha permesso la vittoria finale dell'Unione.
Pertanto, dopo una lunga serie di generali semi-competenti e anche decisamente disastrosi  Lincoln fu sempre alla  ricerca di un generale vincente. Egli ha tollerato le carenze dell'altamente arrogante George McClellan, fino a quando “Little Mac” si è dimostrato non in grado o di non voler impegnarsi in modo aggressivo contro il nemico.“ Ho detto che l'avrei rimosso se avesse lasciato che l'esercito di Lee si allontanasse da lui”. Così si espresse Lincoln con un collega del Partito Repubblicano.  Ha sostituito McClellan con Ambrose Burnside, che poi ha causato senza dubbio la peggior sconfitta dell'Unione della guerra nella battaglia di Fredericksburg. Joe Hooker ha gestito l'ennesima debacle dell'Unione nella battaglia di Chancellorsville, dopo di che Lincoln lo ha sostituito con il generale George Meade, poco prima della resa dei conti a Gettysburg. Meade ha vinto quella battaglia, ma la sua incapacità di inseguire l'esercito Confederato sconfitto ha attirato le ire del presidente; Lincoln nutriva dei dubbi persino su di lui.
Nel 1864 Lincoln finalmente trovò in Ulysses S. Grant e William Tecumseh Sherman due uomini che hanno condiviso la sua filosofia strategica nel condurre una hard war efficace. Il presidente aveva delle perplessità circa la campagna di Grant per prendere la città Confederata di Vicksburg; e successivamente è stato ugualmente scettico sulla famosa marcia di Sherman attraverso la Georgia, preoccupato che Sherman stesse rischiando la sconfitta, avendo tagliato deliberatamente le sue linee di comunicazione e di approvvigionamento attraverso la campagna della Georgia. Ma quando Grant è riuscito a prendere Vicksburg, e la marcia di Sherman si è rivelata un grande successo, Lincoln ha mostrato un altro tratto fondamentale come comandante in capo: la volontà di ammettere i propri errori." Ora desidero rendere il riconoscimento personale che avevi ragione e io mi sbagliavo”, ha scritto Lincoln a Grant.
Quando ha incaricato Grant di guidare l'intero sforzo bellico dell'Unione marzo 1864, Lincoln gli assicurò che non desiderava altro che la vittoria.
La volontà di Lincoln di lasciare che i generali facessero il loro lavoro non è stato però il segno di un leader passivo. Al contrario, è stato per molti versi un comandante in capo in nel vero senso della parola. Egli non ha esitato a prendere misure severe e senza precedenti per vincere la guerra: la leva militare, la confisca dei beni dei Ribelli, e la sospensione del diritto dell'Habeas Corpus, un atto giuridico che consentiva alle autorità militari dell'Unione di arrestare i sospetti simpatizzanti dei Confederati e imprigionarli senza processo .Lincoln ha anche ordinato la chiusura dei giornali del Nord che avevano pubblicato informazioni ritenute riservate.
Lincoln ha sviluppato una grande visione della guerra che legava la vittoria sul Sud alla battaglia per l'emancipazione e la distruzione della schiavitù. Questo non era il suo scopo originale. In realtà, egli, nel suo primo discorso inaugurale alla Presidenza, assicurò i meridionali che non avrebbe interferito con la schiavitù dove già esisteva. Ma, durante la guerra, ha capito che non poteva ottenere la vittoria senza l'emancipazione dei neri.
Lo stand di Lincoln era radicato nella sua autorità come Commander in Chief.  La proclamazione di emancipazione dei neri emanato nel 1863 fu un ordine esecutivo, scritto e pensato da Lincoln come misura militare: gli schiavi erano una parte vitale dello sforzo bellico Confederato e, come Comandante in Capo, Lincoln riteneva di dover ostacolare questo sforzo di guerra in ogni modo necessario. Ciò ha privato i Confederati del lavoro degli schiavi, inoltre tale misura ha permesso l'arruolamento di uomini afroamericani nell'esercito dell'Unione, una misura di cui Lincoln ha creduto e che ha dato i suoi frutti.
Bisogna, comunque, tenere conto delle diversità di tipologie tra i generali dell'Unione che operavano sui diversi fronti, i comandanti che, nei primi anni di guerra, operavano nel teatro orientale sembravano essere come paralizzati dalle responsabilità, sia per la vita dei loro uomini e sia per il destino del loro esercito e quindi di tutta la nazione. Queste responsabilità avranno avuto dei riflessi quasi a livello intimidatorio e li hanno resi avversi ai rischi. Questo comportamento ha caratterizzano soprattutto i comandanti dell'Army of Potomac - primo fra tutti, come abbiamo già detto, George B. McClellan- che operavano sotto i riflettori della pubblicità dei media e con il governo di Washington sopra le loro spalle, attento a ogni loro movimento.
Al contrario, ufficiali come Ulysses S. Grant, George H. Thomas e Philip H. Sheridan hanno iniziato proprio nel teatro occidentale a centinaia di miglia di distanza dal governo di Washington, dove hanno operato cominciando ad avere un comando di un reggimento e, passo dopo passo, sono saliti fino ad avere alti incarichi. Detti ufficiali sono stati in grado di prender maggiori responsabilità e di imparare la necessità di assumersi rischi senza la paura del fallimento che ha paralizzato McClellan.


Gli uomini che servirono come generali in capo dell'esercito sotto la presidenza di Linclon. Da sinistra: Winfield Scott,
George B. McClellan, Henry W. Halleck, Ulysses S. Grant (Library of the Congress).

4) Le opinioni degli storici
Secondo lo storico Gautam Mukunda- assistant professor alla Harvard Business School: "Lincoln è stato uno tra i meno preparati a diventare presidente di chiunque sia mai stato eletto alla Casa Bianca. La sua carriera politica nazionale ha incluso solo un mandato al Congresso. E 'stato scelto come candidato repubblicano, oltre all'ex governatore di New York e senatore degli Stati Uniti William Henry Seward, in gran parte perché le sua breve carriera politica gli ha permesso di posizionarsi come il politico meno anti-schiavitù - e quindi più moderato - del partito repubblicano".
Una volta in carica, però, Lincoln si rivelò molto più impegnato ad opporsi alla schiavitù e di mantenere l'Unione a tutti i costi rispetto alle posizioni di Seward, nominato segretario di Stato nel suo Gabinetto, e il suo genio politico e strategico ha rappresentato una componente fondamentale nella vittoria dell'Unione della guerra e nella ricerca del consenso popolare.
Senza di lui, la guerra civile sarebbe andata molto diversamente. Quando la milizia del South Carolina ha assediato Fort Sumter, Seward avrebbe voluto cedere il Forte pacificamente, credendo che il Sud sarebbe tornato nell'Unione in pochi mesi. E 'stata un'idea di Lincoln quella di inviare rifornimenti alla fortezza assediata, una tattica che ha spinto le forze del Sud a sparare i primi colpi della guerra civile. Quei colpi hanno unito il ​​Nord, allora riluttante a combattere, intorno a Lincoln.
Quando Lincoln divenne presidente, il sistema politico americano non funzionava. La nazione era sull'orlo del collasso, e la politica di tutti i giorni aveva prodotto una serie di presidenti che aspiravano alla mediocrità. Chi voleva essere guidato da Presidenti quali Millard Fillmore, Franklin Pierce, o James Buchanan? Nel bel mezzo della crisi, un outsider - qualcuno che potesse fare delle scelte audaci che nessun altro avrebbe fatto - era l'unica opzione.
Lo storico Mark E. Neely, Jr. ha osservato: “Il problema fondamentale per lo storico che cerca di comprendere e descrivere la grande strategia della guerra civile americana è che all’epoca non era scritta da nessuna parte. In un'epoca priva di "college" militari di guerra e di uno stato maggiore in tempo di pace, non esistevano piani di emergenza o libri bianchi che delineassero la dottrina strategica. C’erano solo risposte ad hoc ai pressanti problemi militari della guerra mentre essa infuriava”.  In queste difficili circostanze, notò James M. McPherson, fu il presidente Lincoln a formulare la strategia generale della nazione verso la guerra: “Come presidente della nazione e leader del suo partito nonché comandante in capo, Lincoln era il principale responsabile della definizione della politica nazionale. Dall’inizio alla fine, quella politica è stata la preservazione degli Stati Uniti come una nazione indivisibile, e come una repubblica basata sul governo della maggioranza”.  McPherson notò che Lincoln enunciava una politica e mobilitava risorse per attuarla. Ha osservato che “non importa quanto questa strategia nazionale richieda il massimo sforzo a tutti i livelli di governo e di società, la responsabilità ultima spetta al presidente nel suo doppio ruolo di capo del governo e comandante in capo”.  Quelli che, durante e dopo la Guerra Civile, criticarono le decisioni militari di Lincoln, non diedero adeguato peso al contesto politico in cui quelle decisioni furono prese. Lo studioso di Lincoln Frank J. Williams scrisse: “Il presidente capì bene la differenza tra strategia nazionale e strategia militare. La strategia nazionale modella gli obiettivi politici di una nazione in tempo di guerra mentre la strategia militare utilizza le forze armate per raggiungere questi obiettivi politici”.
T. Harry Williams ha osservato che il presidente "Lincoln sapeva che i numeri, le risorse materiali e la potenza marittima erano dalla sua parte... Egli colse immediatamente il vantaggio che i numeri davano al Nord e esortò i suoi generali a mantenere una pressione costante su tutta la linea strategica della Confederazione fino a quando non fosse stato trovato un punto debole e a quel punto sarebbe potuto esserci una svolta nella guerra”. In The Military Genius of Abraham Lincoln di Colin R. Ballard, “Lincoln mirò ad isolare la Confederazione; comprese le profonde connessioni tra politica e strategia militare; volle che ci fosse una pressione da parte del esercito attraverso un'ampia linea geografica;  specificò che l'esercito del gen. Lee era l'obiettivo principale e non la presa della capitale Confederata, Richmond; e non si è mai accontentato di mezze misure".
Secondo lo storico Harold Holzer probabilmente il più duraturo di molti lasciti di Lincoln è stato l'ampia presa del potere esecutivo chiamato "War Power",  di cui abbiamo già accennato in precedenza, la sua imposizione è stata richiesta per salvare il paese, e Lincoln ha insistito che ne avrebbe rinunciato non appena la guerra fosse stata vinta. Le sue azioni quali aumentare gli eserciti senza il consenso del Congresso, limitare il dissenso, e imponendo la giustizia militare, sono rimasti tra i principi fondanti di un forte governo nazionale in tempo di guerra, e il predominio del ramo esecutivo, tradizioni che rimarranno durature nell'esercizio dei successivi mandati presidenziali. Il recente riesame di questi precedenti ha suscitato un nuovo capitolo nella letteratura anti-Lincoln.
Lincoln, sostiene Holzer, ci insegna molto circa le complessità della leadership, in particolare come, per esempio, l'utilizzo del simbolismo, dell'oratoria, dell'appello pubblico, e dell'uso dell'umorismo per forgiare quello che era quasi un culto della personalità durante la sua presidenza. Lincoln si è sempre sforzato di osservare un messaggio semplice per cogliere i suoi nemici politici alla sprovvista.
Lo storico James McPherson nel suo libro “ Lincoln “ sostiene giustamente che con tutte le pressioni politiche e militari che Lincoln ha dovuto subire durante la guerra civile, bisogna apprezzare l'abilità con cui ha guidato il paese tra le numerose secche del conservatorismo e del radicalismo del Partito Repubblicano, del problema degli Stati liberi e degli stati schiavi, degli abolizionisti, del Partito Democratico, dei Border States, e nonostante tutto questo, è riuscito a mantenere una rotta costante che ha portato la nazione alla vittoria, e alla fine all'abolizione della schiavitù.
Se Lincoln avesse preso una decisione contro la schiavitù nel primo anno di guerra, come i radicali premevano di fare, egli avrebbe frantumato la sua coalizione di guerra, portato I Border-States Unionisti verso la Confederazione, avrebbe perso la guerra, e la schiavitù sarebbe durata per almeno un'altra generazione.

5) L'eredità di Lincoln
Mi sembra opportuno spendere due parole sul lascito duraturo di Lincoln in merito a quanto il medesimo ha rappresentato per gli americani.
Come Presidente, Lincoln ha ottenuto, nel corso degli anni dopo la sua morte, un forte valore simbolico.
Nel 1982, il Chicago Tribune chiese a quarantanove storici e scienziati politici di valutare tutti i presidenti  fino a Jimmy Carter in cinque categorie:  leadership qualities, accomplishments/crisis management, political skills, appointments, and character/integrity. In cima alla lista c'era Abraham Lincoln. Fu seguito da Franklin Roosevelt, George Washington, Theodore Roosevelt, Thomas Jefferson, Andrew Jackson, Woodrow Wilson e Harry Truman. Nessuno di questi altri presidenti ha superato Lincoln in nessuna categoria secondo il ranking. Roosevelt finì al secondo posto perché non era all'altezza di Lincoln nel carattere. Washington, subito dietro, si è classificato terzo a causa delle sue minori capacità politiche. È opinione generale dei sondaggisti, inoltre, che anche l'americano medio probabilmente metterebbe Lincoln al primo posto. In altre parole, il giudizio degli storici e del pubblico ci dice che Abraham Lincoln fu il più grande presidente della nazione sotto ogni aspetto.
È interessante notare che se al cittadino medio dell'Unione fosse stata posta la stessa domanda nella primavera del 1863, non ci sarebbero dubbi che Lincoln se la sarebbe cavata male. Non si sarebbe potuto dire molto di più per lui nemmeno un anno dopo, quando Lincoln pensava che avrebbe perso la sua candidatura per la rielezione. Ci sarebbe voluta la resa di Lee ad Appomattox e la sua morte una settimana dopo per spingere Lincoln nel pantheon della grandezza presidenziale. Pertanto, a torto o a ragione, la cd. canonizzazione di Lincoln avvenne dopo, sia dalla comune volontà popolare e poi soprattutto ad opera degli storici che hanno elogiato la figura di Lincoln, detto anche il grande Emancipatore.
La canonizzazione di Lincoln iniziò quasi immediatamente anche a causa della sua tragica fine che lasciò gli americani allibiti. Pochi giorni dopo la sua morte, la sua vita fu paragonata a quella di Gesù Cristo. Lincoln fu ritratto come un self-made man, il liberatore degli schiavi e il salvatore dell'Unione che aveva dato la sua vita affinché gli altri potessero essere liberi. Il presidente Lincoln divenne padre Abraham, un eroe che aveva salvato l'Unione e soppresso la schiavitù. Gli stessi storici lo hanno riempito di elogi. Non sempre, però, i giudizi su Lincoln furono così unanimi.  Harold Holzer nella sua "Lincoln Anthology: 85 Writers on his Life and Legacy from 1860 until Now", dice che il giudizio su Lincoln è stato sempre molto controverso. Negli anni Sessanta, per esempio, il «grande emancipatore» era stato ridimensionato sia da destra che da sinistra. La cultura liberal gli contestava che il suo vero obiettivo fosse stato preservare l'Unione, non già abolire la schiavitù. Senza contare il numeroso risentimento Sudista, affiancato da alcuni opinionisti neo-Confederati, che non gli hanno risparmiato critiche pesanti in relazione alle devastazioni compiute dalle truppe del gen. Sherman nei territori del profondo Sud.
Rimane quindi aperto il dibattito su di lui, infatti alcuni, ancor oggi, ritengono che se non ci fosse stata la guerra civile, Lincoln sarebbe stato ricordato come uno dei tanti Presidenti della storia americana. Altri ritengono che abbia travalicato i suoi poteri come Comandante in Capo, che abbia infranto  dettati costituzionali e infranto delle leggi. Comunque lo si voglia guardare, bisogna riconoscere che Lincoln è riuscito a preservare l'Unione.

JEFFERSON DAVIS
1) Personalità di Davis
Jefferson Davis dovette affrontare in troppo poco tempo problemi immani che potrebbero essere condensati in due soli: far nascere una nuova nazione e condurre una guerra civile. Compiti che sarebbero riusciti a ben pochi altri politici. Il suo zelo, l'energia, e la fede dimostrata per la Confederazione sono state essenziali per combattere una guerra di quelle dimensioni.
Davis sembrava una buona scelta come presidente perché era una figura attorno alla quale gli stati confederati potevano sentirsi uniti. Era un uomo benestante, un membro della classe dirigente che possedeva una piantagione e sapeva come commercializzare il cotone e governare gli schiavi. Era il classico leader che il Sud allora apprezzava.
Il passato di Davis era di tutto rispetto. Aveva ricoperto l'incarico di ministro della Guerra durante la presidenza Pierce, e poi senatore fino alle sue dimissioni all'atto della secessione degli Stati del Sud.
Analizzando la personalità di Davis, le problematiche che si riscontrano in lui sono essenzialmente due: non essere riuscito a coordinare efficacemente i vari teatri di guerra, compito che poteva delegare al gen. Lee, e la sua incapacità- data forse la sua rigidità di carattere- ad andare d'accordo con le altre persone, dote importante per un politico.
A mio parere, Davis non fu capace di liberarsi dei generali che, nel corso della guerra, avevano dato cattiva prova di se o di quelli di cui non nutriva alcuna fiducia.
Se ci facciamo caso, dall'inizio fino alla fine della guerra civile, troviamo nell'esercito Conf. sempre gli stessi nomi in posti più o meno importanti. Le nomine dei generali, nella Confederazione, erano estremamente farraginose e complicate e l'anzianità di servizio era l'elemento preminente nelle promozioni dei suddetti Generali.
Posto quanto scritto nel ns. sito:
La nomina dei Generali
"Perché un ufficiale sudista potesse diventare generale era necessario che il presidente lo nominasse e che il senato desse la sua conferma. Prima dell'Atto del Congresso del 21 Maggio 1861, era sufficiente la nomina del presidente per divenire generale.
Dopo che il presidente aveva candidato un ufficiale, se il senato era in sessione e accettava la nomina, la promozione avveniva e l'ufficiale diveniva generale ma se il senato non era in sessione l'ufficiale diventava lo stesso generale e riceveva successivamente la nomina dal governo. In questo sistema le forze politiche e le simpatie del congresso giocarono un ruolo fondamentale. Spesso ufficiali desiderosi di promozione, tramite parenti e amici nel congresso, esercitavano pressioni sulle alte sfere per ottenere un avanzamento di grado. Anche le simpatie del presidente aiutarono la scalata di alcuni ufficiali, mentre altri data la loro vicinanza a Davis furono penalizzati dagli oppositori del presidente."
Detto sistema non aiutava certo le nomine ad agli alti livelli di ufficiali capaci.
Davis, come sopra scritto, era stato allievo a West Point, era stato un ufficiale di carriera e si era distinto nella guerra Messicana, era un politico che aveva ricoperto nell'Unione importanti incarichi di governo, era stato ministro della Guerra nel gabinetto del presidente Pierce. Egli doveva esser legato per forza all'Unione e infatti accettò con riluttanza l'idea della secessione, ma una volta accaduta egli la accettò in pieno.
Sul modo di esercitare la leadership da parte di Jefferson Davis, si potrebbe ipotizzare che la sua tendenza ad esercitare un potere e un controllo diffuso, quasi esclusivo, su tutti i gangli della amministrazione e sui vertici militari, era dovuta al fatto che avendo trascorso parte della sua vita, prima come ufficiale nell'esercito e poi nella politica come ministro e senatore a Washington, egli avesse acquisito una concezione troppo gerarchizzata della pubblica amministrazione. Condizione questa, che gli ha remato contro, in quanto portata all'eccesso.
Davis fu accusato di avere tendenze dittatoriali da alcuni Stati del Sud, gelosi dei loro diritti e prerogative. Egli venne accusato dai governi degli Stati di usare "metodi yankee" per combattere i Nordisti.
Si ritiene, invece, che Davis abbia cercato di esercitare i suoi poteri, sia in campo politico ed economico, oltre che militare, esattamente come ha fatto Lincoln, solo che Davis ha dovuto affrontare difficoltà maggiori a causa di una neonata nazione che stentava a sentirsi unita. Non scordiamoci che, in materia di politica interna, l'Unione e la Confederazione tentarono di mettere in atto delle scelte molto similari, alcune riuscite, altre un po' meno. A mio avviso, nella Confederazione, ci furono troppe lamentele e continui litigi e mancò un vero dibattito politico sui futuri destini della nazione.
Invero, Davis aveva tutte le carte in regola per svolgere la funzione di presidente per gli incarichi sopra citati, estremamente prestigiosi che aveva ricoperto in precedenza. Uno dei suoi problemi era che venne bersagliato di critiche da tutte le parti, non sopportavano neanche la sua seconda moglie, Varina, donna molto più giovane di lui, la quale aveva formato una sua piccola corte, anch'essa oggetto di apprezzamenti poco benevoli.
Teniamo conto che Davis iniziò ad accumulare critiche non appena assunse l'incarico di Presidente che continuarono fino alla sua cattura da parte della cavalleria dell'Unione nel maggio 1865. Il fratello del suo vicepresidente lo definì "un piccolo presuntuoso, ipocrita, piagnucolone, sfacciato, malizioso, ambizioso, ostinato furfante e sciocco". Anche il gen. Beauregard fu abbastanza ingeneroso nei suoi confronti e non gli lesinò commenti pesanti.
Secondo gli storici, ad aggravare la posizione di Davis dobbiamo considerare che, oltre a tutte le difficoltà che incontrava, c'era una stampa del Sud che mantenne un'animosità notevolmente velenosa, se non del tutto unanime, nei confronti del medesimo durante tutta la guerra. I giornali allora erano molto più influenti di quanto lo siano oggi per la semplice ragione che controllavano completamente il flusso di notizie e commenti, e nei confronti di Davis erano spietati, soprattutto il Richmond Examiner:
“La penna al vetriolo di John Moncure Daniel, direttore del Richmond Examiner, si è scagliata contro la 'flagrante cattiva gestione' di Davis. Dalle 'altezze gelide di un egoismo infallibile. . . avvolto in un sublime autocompiacimento,' Davis 'ha alienato i cuori della gente con le sue follie ostinate' e 'le sue allucinazioni croniche di essere un grande genio militare'. Davis 'è orgoglioso di non cambiare mai idea; e il clamore popolare contro coloro che godono del suo favore non fa altro che legarlo più ostinatamente a loro. . . .  Se la gente avesse sognato che il signor Davis avrebbe portato tutte le sue antipatie croniche, le sue parzialità puerili sulla poltrona presidenziale, non gli avrebbero mai permesso di occuparla".
Nonostante tutte queste critiche bisogna dare atto che Davis continuò con la sua energia ad esercitare imperterrito la carica di Presidente.


Una litografia a colori raggifutante Jefferson Davis e i suoi generali. Da sinistra a destra: Leonidas Polk, John B. Magruder,
Thomas J. Simmons, George N. Hollins, Benjamin McCulloch, Jefferson Davis, Robert E. Lee, P. G. T. Beauregard, Sterling Price,
Joseph E. Johnston, and William J. Hardee (National Portrait Gallery/Smithsonian).

2) Le strategie di Davis
In qualità di stratega, Davis possedeva una chiara conoscenza della situazione politico-militare del Sud. Ha riconosciuto che il suo team si trovava ad affrontare difficoltà pesanti; il Nord possedeva molti più uomini e materiali. Si rese conto che la migliore difesa sarebbe stata un buon attacco – per preservare l'integrità politica del Sud e limitare la distruzione fisica – e parlò spesso di attuare una strategia "offensiva-difensiva".
Davis avrebbe voluto usare la strategia che il generale George Washington aveva utilizzato nella guerra di indipendenza americana. Questa strategia consisteva nel mantenere gli eserciti americani lontano dagli eserciti invasori, tranne quando c'era una buona possibilità di vittoria. La speranza era quella di spazientire l'opinione pubblica del Nord al fine che essa smettesse di sostenere la guerra contro la Confederazione. Tale strategia, però, avrebbe provocato parecchie ritirate e perdite di territorio confederato. Ogni governatore e membro del Congresso confederato ebbero da ridire su questo, in modo che Davis non riuscì a provare questa strategia.
Il gen. Lee, nel primo anno di guerra, su Jefferson Davis, disse:
“Davis è convinto che la secessione dell’Unione sia un diritto legale e che quindi il Sud non abbia commesso nulla di male a secedere. Egli non vuole convincersi che Washington considera la secessione un tradimento. e pertanto, il Nord farà di tutto per riportarci dentro l’Unione. Io non sono un costituzionalista e quindi non mi voglio addentrare in questioni legali e cioè se avessimo diritto o meno a secedere, anche se ho sempre considerato la secessione un errore. Davis è un idealista, sentimento molto nobile, non c’è dubbio; egli crede che la questione si risolverà per forza di cose a nostro favore. Ma noi riusciremo a garantirci il diritto di vivere separati e di fondare uno Stato autonomo solo se otterremo una vittoria militare, per questo dobbiamo puntare tutto sul nostro esercito e abbiamo più che mai bisogno di ufficiali capaci e preparati”.
A mio avviso, il gen. Lee ha voluto riaffermare l’esigenza primaria della Confederazione di raggiungere una vittoria militare decisiva al fine di far desistere l’Unione a continuare la guerra. Pertanto, può essere- ma stiamo nel campo delle ipotesi- che il gen. Lee considerasse di importanza secondaria tutte le iniziative politiche e diplomatiche messe in atto dal Presidente Davis, che lui considerava importanti e primarie e che però non andarono a buon fine, di fronte all’obiettivo principale di battere il Nord con una vittoria schiacciante sul campo di battaglia. Lee, in fondo, dimostrò tale assunto andandosi a cercare il nemico per ben due volte in Maryland e in Pennsylvania.
D’altronde, il nerbo principale della Confederazione è stato rappresentato dal suo esercito; molti soldati, nel periodo finale della guerra, combatterono più per Lee che per la Confederazione, dato il grande ascendente che il generale aveva sui suoi soldati.
Una volta che l’esercito Sudista si arrese, la Confederazione di colpo cessò di esistere come entità e nazione autonoma.
Ciò non toglie che il presidente Davis abbia cercato di fare bene il suo mestiere di politico, occupandosi di tutti i molteplici aspetti che girano intorno ad una guerra (economici, diplomatici, sociali, ecc.) in quanto anch’essi sono essenziali all’andamento della guerra stessa. Oltre tutto, l'aspetto principale era che Davis doveva fondare una nuova nazione otre che combattere una guerra.
Da segnalare, infine, la caparbietà di Davis a voler continuare la lotta anche dopo la resa di Lee, utilizzando il metodo della guerriglia a tutti i costi, anche se tale ipotesi naufragò per il diniego dei suoi generali.
Dopo la resa del Sud, Davis venne catturato dalle truppe dell'Unione, imprigionato e incriminato per tradimento, ma non venne processato. Davis venne liberato dopo due anni. Dopo un periodo di indigenza economica, Davis avviò alcune iniziative imprenditoriali senza avere successo, poi finì i suoi giorni considerato come una figura venerata nel Sud per la sua dignità e per il rifiuto di rinnegare la giustezza della sua causa.

3) Davis e le politiche messe in atto dalla Confederazione
Si nota un Jefferson Davis estremamente impegnato nella causa dell’indipendenza confederata anche a costo di rimetterci personalmente, un uomo intenzionato a combattere fino alla fine anche quando quasi tutti i politici e i generali erano pronti a dimettersi. Catturato durante la fuga da Richmond, continuò ad abbracciare la causa per il resto della sua vita. Vediamo, inoltre, un comandante che, nonostante i suoi limiti, fu probabilmente la scelta migliore che i Confederati potevano avere come presidente e che perseguì la strategia militare più sensata disponibile. Come dice  lo swtorico McPherson, la Confederazione non ha perso, è stata l’Unione a vincere.
Si ritiene di far presente che, all’inizio della guerra civile, l’Unione si trovò davanti ad un confine geografico di notevoli proporzioni :il cd fronte era molto lungo. Se togliamo i nuovi territori posti ad Ovest che furono poco coinvolti dalla guerra, rimane sempre un territorio molto grande e che era difficilmente difendibile dai Confederati. D’altra parte, la configurazione orografica del territorio della Confederazione e specialmente la catena dei Monti Appalachi costituiva una difesa naturale per il territorio del Sud. Pertanto, un attacco globale da parte dei Nordisti su un unico obiettivo era difficilmente ipotizzabile.
Per quanto concerne i Confederati, il trasferimento della capitale da Montgomery a Richmond in Virginia, come è noto, è stato oggetto di critiche da parte di alcuni storici. Si è ritenuto infatti che detto trasferimento fosse stato un errore commesso dal Presidente Davis. Visto dalla parte Unionista invece tale scelta, trovandosi la capitale Confederata vicinissima agli Stati dell’Unione, ha fatto sì che i Nordisti si incaponissero a voler conquistare Richmond a qualunque costo e, una volta l’avessero presa, erano convinti che la guerra si potesse considerare virtualmente finita.
Pertanto, va sottolineata la miopia strategica iniziale mostrata dai Nordisti che si impegnarono in una costosa, in termini di perdite militari, guerra di trincea, invece di mettere in atto una guerra di movimento basata sulla velocità, utilizzando le loro infrastrutture in termini di ferrovie e di trasporti, notevolmente superiori rispetto al Sud.
Si verificò, nei teatri dell’Est, una situazione molto particolare: i territori del Nord e del Sud vastissimi e due capitali vicinissime. Come scrisse Winston Churchill al riguardo, si verificò una situazione simile ad una partita di scacchi con due regine che si fronteggiavano a distanza ravvicinata.
Per quanto concerne la politica economica della Confederazione, sui magazzini stracolmi di cotone esistenti nella Confederazione, ci fu una polemica, dopo la guerra, da parte della gente del Sud, fatta sicuramente con il senno di poi. Si disse che se il presidente Davis avesse ritirato tutto il cotone e lo avesse portato in Inghilterra prima che cominciasse il blocco, le cose, sotto il profilo economico, potevano andare in modo diverso. Questa fu una delle tante recriminazioni rivolte contro Davis. Vi è anche un riscontro nel  famoso libro "Via col vento" di Margareth Mitchell.
D'altronde, Il governo confederato è stato spesso accusato di non aver saputo gestire in modo efficiente l'economia del paese e la finanza. La critica principale è che è stato stampato troppo denaro, alimentando così l'inflazione che ha devastato l'economia e abbassato il morale del sud. Tuttavia, dato il blocco navale posto dall'Unione, alcuni storici ritengono che l'inflazione era inevitabile. Nonostante i suoi problemi economici, la Confederazione ha mantenuto oltre il 3 per cento della popolazione sotto le armi, una cifra superiore a quella del Nord. In termini di gestione delle forniture militari, la Confederazione ha potuto vantare alcuni successi organizzativi. L'Ordnance Chief Bureau Josiah Gorgas, per esempio, ha costruito una industria delle armi praticamente da zero e ha tenuto gli eserciti confederati più forniti di quanto era sembrato possibile nel 1861. Il problema principale era la mancanza - non la gestione - delle risorse. Lo stesso Gorgas non aveva alcuna stima per Davis.
Rileggendo il Luraghi "Storia della guerra civile americana", che dedica alcune pagine alla strategia da adottare da parte della Confederazione, egli sostiene che, specialmente all'inizio della guerra, per la Confederazione, adottare una strategia offensiva "era del tutto improponibile; un paese il quale non ha altro fine che l'indipendenza non può farsi aggressore e invasore a mente fredda. Si sarebbe sfidata l'opinione pubblica meridionale che non voleva sentire parlare di aggressione del Nord". Luraghi continua dicendo che le forze militari Sudiste erano in quel momento impreparate e anche a livello diplomatico (questione molto a cuore a Davis) un'azione offensiva non avrebbe fatto altro che irritare i simpatizzanti in Europa per la Confederazione.
Davis, soprattutto all'inizio della guerra, era favorevole ad una strategia difensiva e che invece alcuni generali erano contrari. Secondo lo storico Thomas L. Connelly, autore di pregevoli libri sul gen. Lee e sull'Armata del Tennessee, la strategia difensiva alla quale Davis teneva è stata minata dal suo eccessivo affidamento sulle strategie offensive di Lee dove la Confederazione ha perso cinquantamila uomini da giugno ad agosto del 1862.
Cito una critica molto dura nei confronti dell'operato di Davis da parte dello storico D. Keith Dickson:
"Jefferson Davis e i suoi generali non sono riusciti a lavorare insieme. Davis voleva essere un generale, non il presidente della CSA. Non ha mai rinunciato ad essere un generale in materia di strategia. Davis ha interferito nelle questioni di strategia, dando indicazioni ai suoi generali, senza dare loro i mezzi per portare a termine i suoi obiettivi. Ha fatto scelte discutibili nelle nomine dei comandanti, spesso la selezione di essi è stata fatta in base alle preferenze personali piuttosto che alle loro professionalità. Ha sostenuto caparbiamente i suoi generali preferiti, anche se ciò andava a scapito dei benefici complessivi per la Confederazione".
Ritengo comunque che per vincere la guerra la strategia difensiva erra la migliore opzione. Senza per altro togliere nulla al genio tattico del gen. Lee che rimane indiscusso, solo una strategia di logoramento entro gli ampi spazi dei propri territori poteva offrire alla Confederazione una chance in più per far desistere il Nord a continuare la guerra. Il prezzo però che avrebbe pagato la popolazione meridionale sarebbe stato altissimo, molto più gravoso di quello che hanno pur pagato. La guerra poteva durare un decennio e si sarebbe inevitabilmente trasformata in guerriglia su larga scala, aspetto quest'ultimo che Lee ha sempre cercato di evitare. Il risultato, forse, alla fine, sarebbe stato lo stesso, la Confederazione avrebbe comunque perso.
Aggiungo che non era nella mentalità di Lee, e nella sua formazione culturale e professionale, condurre una guerra in tale modo. Lee ha condotto la guerra- per quanto gli concerneva- nel modo che riteneva più giusto: cercare di sconfiggere l'Unione nei propri territori, al fine di far desistere la popolazione Nordista a continuare la guerra. E questo spiega- come scrive lo storico Gary W. Gallagher- le campagne del Maryland e della Pennsylvania, messe in atto dal generale.
Sarebbe, comunque, molto riduttivo dare la colpa a Davis di aver perso la guerra, come abbiamo visto, in quanto i motivi di carattere militare sono essenziali.
A tale proposito, lo storico Gary Gallagher, in una intervista su vari argomenti riguardanti la guerra civile, ha fornito alcuni aspetti sul perché il Sud abbia perso la guerra, riflessioni che si discostano dalle opinioni tradizionali che più volte abbiamo letto e, a volte, abbiamo fatto proprie.
"Penso che ci siano molte idee sbagliate sulla guerra. Un altro aspetto che si è dimostrato molto tenace è che la Confederazione ha fallito per cause interne – a causa delle tensioni di classe, razza e genere; che non esisteva un vero sentimento nazionale confederato. Questo fa parte della letteratura accademica da molto, molto tempo. È iniziato negli anni ’20 e ’30, ha registrato un picco negli anni ’60 e ’70 e da allora è rimasto stabile. C'erano chiaramente tensioni interne significative nella Confederazione. Ma tensioni c’erano ovunque, nella Confederazione e negli Stati Uniti. Credo che il fattore chiave che ha portato alla sconfitta dei ribelli – e questo è facile da trascurare se non si affronta la storia militare – è che gli eserciti dell' Unione hanno dimostrato di poter andare ovunque e fare tutto ciò che volevano. Una volta che la popolazione civile confederata lo capì, quale alternativa rimaneva alla resa? Soprattutto quando l'esercito di Lee capitolò. È proprio così, è la fine.
Se gli Stati Uniti non avessero vinto la guerra, gli storici avrebbero esaminato tutte le tensioni interne a nord del Potomac e avrebbero messo in evidenza tutti i modi in cui gli Stati leali erano incredibilmente divisi. Non c'è niente di equivalente alle rivolte per la leva di New York nella Confederazione. Non c'è nessun evento del genere. "
Per Gallagher la visione della guerra civile sotto un profilo prettamente di storia militare è fondamentale e preminente e può essere che abbia ragione e, quindi, a mio avviso, dare tutta la colpa della sconfitta della Confederazione a Davis risulta sbagliato e fuorviante.


Alcuni degli alti comandanti confederati con cui Davis dovette gestire la guerra. Da sinistra: P.G.T. Beauregard,
Joseph E. Johnston, Robert E. Lee, Braxton Bragg (Library of the Congress).

4) Le opinioni degli storici
La storiografia di antica generazione è stata inclemente sull'operato di Davis, come se la colpa di aver perso la guerra ricadesse esclusivamente su di lui. La storiografia più recente, invece, risulta più clemente nei suoi confronti, anche se non gli risparmia critiche a volte pesanti.
Da parte degli storici meno recenti, Davis è stato oggetto di molte critiche per la sua condotta degli affari militari della Confederazione. Fino alle ultime fasi della guerra resisté alle pressioni di nominare un generale in capo, essenzialmente assumendo queste funzioni personalmente; Quando il gen. Lee assunse tale ruolo, era troppo tardi per progettare una nuova grande strategia in grado di cogliere successi. Davis fu responsabile della strategia di difendere ogni parte del territorio sudista  in modo tale che diluì le limitate risorse del Sud in tutto il territorio meridionale rendendolo più vulnerabile agli sforzi strategici coordinati dell'Unione sul fronte occidentale. Fu altresì responsabile di scadenti scelte strategiche, come quella di permettere a Lee di invadere il Nord in due occasioni mentre gli eserciti occidentali perdevano battaglie e territori, come sul fronte Occidentale; inoltre gli si può imputare lo scarso coordinamento dei Comandanti che si rifletté sul comportamento espresso dai suoi generali sul campo. Davis, a volte, nel concedere incarichi di vertice, fu influenzato dalle sue amicizie personali come quella con il generale  Braxton Bragg. Questo era particolarmente vero nei rapporti con i suoi generali comandanti. Lincoln ha evitato di trasformare i disaccordi con i Generali comandanti in scontri di personalità; ma Davis non lo ha fatto. Egli non ha funzionato bene con i generali ai quali non  piaceva, o che non piacevano a lui. Emblematico il suo rapporto con il generale Joseph E. Johnston: egli è stato, come Davis, un uomo orgoglioso e piuttosto difficile, sensibile alle offese (reali e percepite) che riguardavano la sua reputazione. All'inizio della guerra Johnston credette che Davis lo avesse ingiustamente offeso in materia di rango e di pubblico credito per le sue vittorie sul campo di battaglia. Da parte sua, Davis ha ritenuto Johnston  vanaglorioso e testardo. Entro la metà di guerra i due uomini  a malapena si  parlavano. Mentre Johnston certamente aveva una grande responsabilità per questo stato di cose, è anche giusto sottolineare che Davis sembrava incline a questi scontri di personalità, e, nonostante tutto, nominò Johnston comandante dell'Army of Tennessee.
La critica più pesante mossa a Davis, da parte degli storici, è quella di ritenerlo altamente incompetente come leadership strategico. Nonostante il suo background militare, non riuscì a comprendere il tipo di guerra che stava combattendo e non riuscì ad allineare le sue risorse per raggiungere gli obiettivi di una strategia difensiva strategica che avrebbe preservato le sue risorse e mantenuto la Confederazione vitale come “nazione”.
Davis non ha mai capito che se avesse condotto il Sud fuori dall’Unione senza sparare un colpo o un atto di violenza, probabilmente avrebbe avuto successo. Gli storici hanno notato che molti nordisti non solo si opponevano alla guerra contro la schiavitù, ma desideravano lasciare andare in pace gli stati schiavisti. Davis non aveva né l'intuizione né la capacità di sfruttare questa apertura a vantaggio del Sud. In quelle condizioni, Lincoln non sarebbe stato in grado di formare un esercito di dimensioni sufficienti per riportare i ribelli nell’Unione.
Alcuni ritengono anche che considerare qualificante l'esperienza militare di Davis sia un'esagerazione. Ha studiato a West Point e ha servito 6 anni come tenente, rientrò nell'esercito come volontario con il grado di colonnello durante la guerra del Messico, per meno di due anni. Ancora una volta, questo non lo qualificava realmente per guidare gli eserciti. Fu ministro della Guerra dopo la guerra del Messico, ma ad eccezione dei conflitti con i nativi americani alle frontiere, gli Stati Uniti erano in pace durante il suo mandato.
Nel libro di William C. Davis. Jefferson Davis: The Man and His Hour, detto autore descrive come i difetti caratteriali di Jefferson Davis lo rendevano inadatto a essere Presidente della Confederazione, la sua discussione sulla strategia è informata da una efficace comprensione del carattere di Davis. Sembrava logico nel 1861 che il Sud si rivolgesse a a lui. Dopotutto, era il suo principale eroe militare (come colonnello nella guerra del Messico, contribuirà a vincere la battaglia di Buena Vista); poteva essere il naturale successore di John Calhoun come principale difensore dei diritti degli Stati al Senato; e, sotto il presidente Franklin Pierce, è stato uno dei segretari di guerra più innovativi di sempre. Eppure, già dalle sue due corti marziali al quale fu sottoposto quando era cadetto di West Point e tenente dell'esercito, Davis manifestò tratti negativi che si rivelarono fatali come Presidente: rabbia, pedanteria, vanità, indecisione e, come notò la sua futura seconda moglie, Varina, dava a vedere un "modo prepotente di dare per scontato che tutti siano d'accordo con lui". Aveva la diligenza e l'intelligenza di un burocrate, ma nessuna delle capacità relazionali di un politico. Lo storico Davis esamina come questi punti di forza e di debolezza hanno influenzato le relazioni del leader confederato con la sua volitiva seconda moglie, Varina, e il suo mentore, il fratello Joseph; il suo trattamento insolitamente benevolo nei confronti degli schiavi; e la sua cattiva gestione del teatro operativo occidentale, aggravata da meschini litigi con i generali Pierre Beauregard e Joseph Johnston  e da un legame verso generali incompetenti come Braxton Bragg e Leonidas Polk.
Lord Charnwood nel suo libro “Lincoln” è spiccatamente a favore di Lincoln e, in parte, sfavorevole a Davis e alle scelte strategiche in campo militare della Confederazione. Inoltre l'autore mostra molta simpatia per Lee e, in questo ritiene che Davis, per quanto riguarda l'invasione della Pennsylvania, nel 1863, avrebbe dovuto fornire a Lee tutte le forze disponibili e invece non l'ha fatto. L'autore giudica inopportuna la decisione di Davis, nella Campagna di Atlanta, di sostituire Johnston con Hood. L'autore sostiene che Davis, inizialmente riluttante, quando ormai era tardi, acconsentì di nominare Lee Comandante in Capo dell'esercito Confederato. Pertanto, Davis avrebbe dovuto concedere prima molta più autorità militare a Lee, in modo da renderlo più autonomo nelle scelte strategiche della guerra, dato anche il carattere del generale, che, come sappiamo, era schivo e riservato e quindi, di sua iniziativa, non si sarebbe ritagliato più spazi nella conduzione della guerra.
Nel libro viene anche evidenziata la volontà di Davis di volere, alla fine, continuare a tutti costi la guerra quando la causa della Confederazione era ormai perduta, nonostante il parere negativo dei militari. L'autore parla, a questo proposito, di una riunione tenuta dal Presidente con i gen. Johnston e Beauregard, prima della resa, nella quale Davis disse che voleva emanare un proclama che, secondo lui, avrebbe provocato numerosi arruolamenti, mettendolo così in grado di "assestare altre frustate ai Nordisti", ma nessuno dei presenti gli rispose.
In sostanza, nel libro sembra trasparire che Davis volesse condurre lui la guerra, ritenendosi competente, grazie anche al suo passato militare, ma, di fatto, non la condusse e non lasciò che altri (i generali) la conducessero al posto suo.
Da citare poi gli studi recenti effettuati dallo storico Steven E.Woodworth su Jefferson Davis e la sua leadership militare e il rapporto avuto con i suoi generali, che sono molto illuminanti in proposito. Woodworth sostiene che Davis è una figura storica che suscita forti passioni fra gli studiosi; alcuni lo hanno descritto come un eroe, altri lo hanno giudicato un incompetente. Il suddetto storico dimostra che entrambi gli estremi sono esatti - Davis era al tempo stesso eroico e incompetente. Egli rimane comunque una figura complessa. Woodworth fa un ritratto di Davis come un uomo di talento e leader coraggioso che, tuttavia, ha indebolito la causa della Confederazione nei fronti dell'Ovest dove- secondo lo storico- il Sud ha perso la guerra.
Allo scoppio della guerra, pochi meridionali sembravano più qualificati di Davis per il posto di comandante in capo. Davis, come già scritto, si era diplomato a West Point, aveva comandato un reggimento in combattimento nella guerra messicana (fatto che né Lee nè Grant potevano vantare in quanto ufficiali più giovani), aveva ottenuto brillanti risultati come senatore degli Stati Uniti e come Segretario del Ministero della Guerra del gabinetto del presidente USA Pierce. Nonostante le sue credenziali- sostiene Woodworth- Davis si dimostrò troppo indeciso e incoerente come Comandante in capo al fine di condurre la sua nuova nazione alla vittoria.
Come dimostra Woodworth, però, Davis non si deve assumere da solo la responsabilità per la sconfitta del Sud. Una parte sostanziale di tale onere ricade sui Generali che operarono sul fronte occidentale. Woodworth valuta le loro relazioni con Davis, così come la loro leadership dentro e fuori dal campo di battaglia a Donelson, Shiloh, Vicksburg, Murfreesboro, Chickamauga, e Atlanta, per dimostrare la loro complicità per la morte della Confederazione.
Woodworth esamina anche il rapporto tra Davis e Lee. Egli mette in evidenza come Davis non fosse d'accordo con le strategie offensive del gen. Lee, ma, nonostante ciò, Davis ha sempre avuto un rapporto di fiducia reciproca con il medesimo, anche perché Lee era sempre disposto a condividere i suoi piani con lui e a chiedergli consigli, cosa che altri generali, quali Beauregard e Joe Johnston, non facevano, tenendolo a volte all'oscuro e trattandolo con disprezzo.
Woodworth dice che Davis  aveva sempre avuto fiducia in Lee anche quando, all'inizio della guerra, Lee non era tanto popolare presso l'opinione pubblica meridionale per i risultati disastrosi ottenuti dal generale nel West Virginia, tanto è vero che i giornali di Richmond lo avevano ridicolizzato, chiamandolo "Granny Lee".
A livello di grande strategia, Steven Woodworth ha sostenuto che la collaborazione armoniosa tra Davis e  Lee, ironicamente, ha privato la strategia confederata di coerenza. Lee dubitava della capacità di resistenza del morale confederato e credeva che una vittoria decisiva fosse necessaria il prima possibile, mentre Davis riteneva che la Confederazione fosse troppo debole per dominare sul campo di battaglia e  doveva solo cercare di sopravvivere al nemico.
L'intuizione di Woodworth esige rispetto, ma una difesa di Davis su questo punto è ragionevole. Come ha scritto Clausewitz, “La forma difensiva della guerra non è un semplice scudo, ma uno scudo fatto di colpi ben diretti”. Lee, più di ogni altro generale del sud, si dimostrò abile nello sferrare quei colpi, e Davis non aveva torto nel concedere notevole libertà al suo comandante più talentuoso. Se Lee si fosse sempre comportato bene e non avesse commesso errori gravi, il suo successo avrebbe potuto portare a un risultato politico diverso, anche all'interno della “offensive-defense" favorita da Davis.
Davis, sostiene il sopra citato storico, utilizzò male il sistema dipartimentale militare, in cui i generali designati avevano ampia libertà nel dirigere gli affari nei loro dipartimenti geografici. Durante il primo anno e mezzo di guerra, questo sistema funzionò bene, ma, da allora in poi, divenne una fonte di debolezza per la Confederazione. Il problema era che Davis non riuscì ad intervenire e a costringere i generali ad agire secondo le esigenze generali della nazione.
In qualità di comandante in capo, Davis si immergeva in molti dettagli minori, ma su questioni importanti si dimostrava troppo rispettoso nei confronti dei suoi comandanti di dipartimento. Non collaborarono tra loro come Davis sperava. Ma in ultima analisi era la sua responsabilità, non loro, determinare che un dipartimento aveva bisogno dell'assistenza delle truppe rispetto ad un altro, e un'azione più coraggiosa da parte sua avrebbe potuto aumentare le possibilità di successo della Confederazione. Inoltre, nelle sue nomine, Davis ha mostrato una troppo rigida preferenza per gli ufficiali diplomatisi a West Point, una preferenza che molte volte è stata un bene, altre volte no, vedi Forrest e Cleburne; cosi come la sua insistenza, nelle scelte dei comandanti, ad utilizzare caparbiamente il criterio dell' anzianità di servizio.
Di nuovo Steven E. Woodworth, nel suo libro "Jefferson Davis and His Generals: The Failure of Confederate Command in the West", sul modo di esercitare la leadership da parte di Jefferson Davis, ipotizza la sua tendenza ad esercitare un potere e un controllo diffuso, quasi esclusivo, su tutti i gangli della amministrazione e sui vertici militari, dovuta al fatto che avendo trascorso parte della sua vita prima come ufficiale nell'esercito e poi nella politica come ministro e senatore a Washington, egli avesse acquisito una concezione troppo gerarchizzata della pubblica amministrazione. Condizione che gli ha remato contro.
Lo storico James M. McPherson, che recentemente ha scritto un saggio su Jefferson Davis nel suo libro "Embattled Rebel" in merito alla sua leadership militare, sostiene che un diverso Commander in Chief al posto di Davis, probabilmente non avrebbe modificato il corso della guerra per la Confederazione. Davis non era un genio militare - sostiene McPherson -  ma era uno stratega migliore di molti dei suoi generali.
James McPherson, che non ha mai nascosto le sue simpatie per Lincoln e per l'Unione, ha scritto parole molto gratificanti nei confronti di Davis nel libro sopra citato .
"Davis potrebbe essere stato dalla parte sbagliata della storia, ma è troppo facile sminuirlo a causa del fallimento della sua causa. Gravemente malato per gran parte della Guerra Civile, Davis tuttavia plasmò e articolò la politica principale della Confederazione - la ricerca di una nazione indipendente - con chiarezza e forza. Esercitò una tenace influenza pratica nella definizione della strategia militare e il suo stretto rapporto con Robert E. Lee fu uno dei partenariati militare-civile più efficaci della storia".
Pur non minimizzando in alcun modo le carenze di Davis come comandante in capo, McPherson scrive in modo convincente dell'onestà, dell'intelligenza e dell'instancabile dedizione di Davis alla ricerca di una nazione confederata indipendente basata sulla schiavitù razziale. Sottolinea anche l'acrimonia personale dei critici di Davis, che ha superato ogni limite. Riconoscendo che Davis è spesso apparso come una figura storica remota e quasi ovattata, McPherson riporta in vita un uomo che ha sofferto delle tragedie personali oltre a una serie di disturbi fisici che provocavano una sofferenza quotidiana. Eppure Davis resistette per oltre quattro anni, senza mai vacillare, durante la guerra e sottoponendosi alla cattura piuttosto che alla resa.
McPherson non è interessato a paragonare Davis a Lincoln o a costruire un caso contro Davis per tradimento o qualsiasi altro aspetto. Piuttosto, è interessato alla sfida di trascendere le proprie convinzioni e comprendere Davis come un “prodotto del suo tempo e delle sue circostanze”. Non deve essere stato facile. Davis era un importante proprietario di piantagioni di schiavi nel Mississippi, un convinto difensore della schiavitù e delle ambizioni dei proprietari di schiavi, un sostenitore della sovranità statale e un acerrimo nemico di Lincoln e di tutto ciò che si presumeva rappresentasse. A peggiorare le cose, Davis aveva poco fascino e poche virtù. Era un uomo altezzoso, pungente, privo di senso dell'umorismo, polemico e freddo. Il suo cattivo stato di salute potrebbe aver contribuito in parte a ciò, mentre le sue tendenze maniacali del lavoro potrebbero aver esacerbato le sue numerose malattie. Ma, in qualche modo, McPherson riesce a “diventare meno ostile nei confronti di Davis” di quanto ci si aspettasse, e chiaramente si sente più coinvolto nelle sfide che lo stesso Davis dovette affrontare. Il risultato è il miglior libro conciso che abbiamo sull’argomento.
Come ci si potrebbe aspettare, la maggior parte di “Embattled Rebel” affronta la materia del comando di Davis nel vasto teatro di guerra. Dopotutto questa era la sua principale responsabilità in qualità di comandante in capo. E, a causa del corso degli eventi, fu per lui, come per Lincoln, la preoccupazione principale durante l'intero mandato della sua presidenza. Nessun altro Presidente nella storia americana è stato spinto in guerra così rapidamente come lo sono stati loro.
La preferenza operativa di Davis era per quella che chiamava una strategia "offensiva-difensiva", che McPherson definisce come "cogliere le opportunità per passare all'offensiva e costringere il nemico a chiedere la pace". Come si è scoperto, quelle opportunità non si sono presentate spesso, ma quando i suoi migliori generali - Stonewall Jackson e Robert E. Lee - erano sulla scena, i Confederati le hanno effettivamente colte. Ma Davis non riuscì a superare gli enormi vantaggi di cui il Nord godette all’inizio della guerra e che mantenne durante tutta la guerra: “una maggiore popolazione e risorse esistenti nel Nord, un’economia più forte, una marina potente, una leadership militare intraprendente e vittorie sul campo di battaglia che attenuarono lo slancio confederato nei punti chiave e prolungò il conflitto finché la debole infrastruttura economica che sosteneva lo sforzo bellico del Sud crollò”.
Davis prevedeva di essere nominato generale in capo dell'esercito confederato, non Presidente della Confederazione. Ma accettò la posizione di vertice e abbracciò rapidamente una strategia difensiva, che non cercava altro obiettivo se non quello di staccare gli stati di confine dove la schiavitù era legale, per poi spostarsi verso ciò che chiamava “offensiva-difensiva”: cercava di cogliere opportunità offensive nella speranza di demoralizzare i Nordisti e costringere l’Unione a chiedere la pace. In entrambi i casi, l’obiettivo era garantire l’indipendenza della Confederazione, anche se “difendere” oltre 750.000 miglia quadrate del suo territorio si è rivelato un compito non da poco.
Davis arrivò a sviluppare uno stretto rapporto con Robert E. Lee, che conosceva fin dai tempi di West Point e, come Lincoln, ebbe più della sua parte di problemi con altri generali sotto il suo comando, come con Joseph Johnston e PGT Beauregard .
"Embattled Rebel" racconta delle campagne militari e delle lotte intestine che hanno afflitto l'alto comando confederato. Nonostante tutte le simpatie dichiarate per l'Unione, McPherson considera seriamente il progetto militare confederato e riconosce almeno tre momenti nel corso della guerra in cui le prospettive per un esito favorevole erano relativamente brillanti: nell'estate del 1862, nella primavera del 1863 e nell'estate del 1863, quando le vittorie confederate indebolirono il morale del Nord e aumentarono la probabilità di un armistizio o di una pace negoziata, vittorie che però non hanno portato a nulla.
Si nota, pertanto, una tendenza da parte della recente storiografia a rivalutare l'operato di Jefferson Davis o almeno a mostrarsi più obiettivi nei suoi confronti. Mi sembra abbastanza corretto come percorso: Davis ebbe indubbiamente le sue colpe, ma sarebbe sbagliato e riduttivo attribuire a lui tutte le responsabilità per la sconfitta della Confederazione. Come ha scritto McPherson, anche con un altro Presidente, la Confederazione avrebbe perso ugualmente la guerra.

Conclusioni
Concludendo la disamina dell'operato dei due presidenti sulla conduzione della guerra, si ritiene, a mio avviso, che Lincoln abbia fornito una prestazione migliore sia in campo politico, sia come leadership militare, rispetto a quella fornita da Davis, giudizio espresso facendo un bilancio consuntivo di tutto il periodo storico concernente la guerra civile.
Davis ha dovuto, come abbiamo visto, affrontare grossi problemi, alcuni superiori a quelli che ha dovuto affrontare Lincoln, tra i quali, il più gravoso, quello di cercare di fondare dal nulla una nuova nazione. Lincoln comunque ha dovuto affrontare, anche lui, una serie di problemi, alcuni diversi, altri affini a quelli che si sono prospettati a Davis.
Lincoln si è rivelato, pur con tutte le incertezze mostrate all’inizio del mandato presidenziale, un politico più lungimirante e più moderno nel significato odierno del termine, rispetto a quanto dimostrato da Davis.
Altra differenza tra i due è rappresentata dal fatto che Davis fu soltanto il presidente degli Stati Confederati, invece Lincoln si sentì sempre il presidente di tutti gli Stati Uniti anche di quelli che si erano rifiutati di essere tali e avevano dato via alla secessione. Fino ad allora il cittadino americano aveva identificato la democrazia con la difesa della autonomia del singolo Stato di appartenenza, con Lincoln la democrazia fu unita alla difesa dell'Unione fino a farla diventare un'unica cosa.
Si notano tra Lincoln e Davis delle notevoli diversità caratteriali che forse influirono nella loro condotta politica, non scordiamoci che i due presidenti dovettero affrontare, nel corso della guerra, identici problemi e, a volte, usarono gli stessi metodi, vedi ad es. l'abolizione temporanea dell' Habeas Corpus.
La cosa che colpisce di più la strategia di Lincoln come comandante in capo era il modo in cui ha visto le offensive Confederate più come un'opportunità che una minaccia, un'opportunità per colpire con incursioni le armate nemiche mentre stavano nel territorio dell'Unione lontano dalle loro basi. Cinque volte nella guerra Lincoln ha cercato di ottenere che i suoi comandanti colpissero gli eserciti Confederati quando erano all'offensiva nella campagna della Shenandoah Valley di Stonewall Jackson in maggio e giugno del 1862, nell'invasione di Robert E. Lee del Maryland nel mese di settembre del 1862, nell'invasione di  Braxton Bragg del Kentucky lo stesso mese, nell'invasione di Lee della Pennsylvania nel giugno-luglio del 1863,  e nel raid di Jubal Early alla periferia di Washington nel mese di luglio del 1864. Ogni volta i suoi comandanti hanno fallito, fino a quando il gen. Phil Sheridan ha attaccato e paralizzato l'esercito di Early nella Shenandoah Valley a settembre-ottobre del 1864 e il gen. George Thomas ha distrutto l'esercito confederato di John Bell Hood a Nashville, nel dicembre 1864. Studiando le idee e gli ordini strategici di Lincoln in tutte queste campagne-i fallimenti e i successi-  McPherson ha capito alcune delle intuizioni più importanti nella sua performance come Commander in Chief.
Per quanto riguarda le rispettive capacità di comunicazione, sostiene lo storico McPherson, Davis, usava metafore, era piuttosto noioso, possedeva una prosa poco entusiasmante; Lincoln era più comprensibile, possedeva una prosa ricca di energia. Prima di tutto, Lincoln era un politico esperto che ha operato in un ambiente politico che non ha visto nessun timeout durante la guerra civile; il suo omologo confederato d'altra parte ha avuto un solo mandato, non di parte, un presidente non eletto che non ha mai dovuto affrontare la rielezione. Lincoln ha moltiplicato in modo esponenziale il suo vantaggio, raggiungendo il compromesso, rendendosi affabile, ispirando affetto genuino, e, sorprendentemente, vedendo la strategia e le tattiche di guerra nei loro termini più ampi e più moderni. Davis non poteva competere con lui in una delle categorie di cui sopra. Ed ecco un elemento in più che vale la pena ricordare: Davis soffriva di una combinazione paralizzante di disturbi e  di malattie durante la guerra. Lincoln, melanconia a parte, ha mantenuto sorprendentemente una buona salute ed energia.
Per quanta riguarda l'aver adottato misure coercitive nei confronti dei civili, che, come abbiamo detto, sono state applicate da Lincoln, nel corso della guerra, parte della storiografia (Mark E. Neely Jr. "Southern Rights :Political Prisoners and the Myth of Confederate Constitutionalism") ha messo in evidenza che anche Jefferson Davis usò misure repressive nei confronti degli abitanti del Sud dissidenti e filo-Unionisti e che sono state prese misure restrittive delle libertà costituzionali dei cittadini della Confederazione in relazione alle esigenze belliche. Il libro in questione, che si avvale di moltissimi documenti, mette fine - come dice l'autore- al falso mito che voleva che solo Lincoln e l'Unione avessero violato le libertà civili dei dissidenti. D'altronde, è normale che l'Unione e la Confederazione, pur nelle loro diversità, abbiano adottato, durante la guerra civile, soluzioni comuni in tanti aspetti concernenti sia il campo prettamente militare che quello politico-economico. Pertanto, sembra anche illogico che il comportamento tenuto, rispettivamente, da Lincoln e da Davis, all'atto pratico, risultasse completamente diverso.
In merito al rapporto dei due Presidenti con i loro rispettivi Generali, da ultimo, si osserva la stridente contraddizione: nello stesso periodo di guerra (1864) Lincoln nominò Ulysses S. Grant, un generale di cui aveva piena fiducia, comandante in capo dell'esercito federale, invece Jefferson Davis nominò Joseph E. Johnston, un generale di cui non si fidava, comandante dell'Armata del Tennessee.
Si è parlato del "cinismo" di Lincoln in merito alla conduzione della guerra nell'ultimo periodo: sul vero o presunto cinismo di Lincoln si può essere anche d'accordo, ma non da contrapporlo alla dirittura morale di Davis. A mio avviso, tutti e due hanno cercato, al meglio, di svolgere il loro difficile compito, solo che Lincoln è stato più coraggioso e flessibile, comportandosi come un politico nel senso moderno della parola; se questo significa essere cinici, esso fa parte del gioco. La presunta austerità di Davis non lo ha portato da nessuna parte, anzi il suo modo a volte sprezzante di comportarsi gli ha alienato parte delle simpatie del popolo Sudista che non a caso l'aveva soprannominato King Jeff. Davis, era chiuso nel suo mondo a volte fuori della realtà e ciò non gli ha permesso di fare scelte innovative che però l'avrebbero sicuramente reso inviso all'establishment Sudista, ma che forse gli avrebbero offerto una chance in più al fine di cercare di vincere la guerra.
In merito ad eventuali crimini di guerra commessi durante la guerra, argomento scottante di cui la dottrina moderna ne discute parecchio al giorno d'oggi, non risulta che Lincoln e Davis abbiano deliberatamente pianificato, o approvato, azioni militari aventi lo scopo di arrecare offesa fisica- e non materiale- contro i civili. Nonostante ciò, a mio avviso, sia a Lincoln che a Davis, in qualità di presidenti e comandanti militari in capo delle rispettive nazioni, Unione e Confederazione, debbano attribuirsi le responsabilità politiche della conduzione della guerra, comprensive di tutti gli episodi negativi e discutibili accaduti durante la guerra stessa. Fare dei paragoni su chi si è comportato più correttamente tra i due presidenti, durante la conduzione della guerra, sotto l’aspetto in questione, ci porterebbe molto lontano, in quanto si potrebbero citare tanti episodi cruenti e negativi da attribuirsi ad entrambi le parti in lotta. Ne verrebbe fuori una triste graduatoria senza alcun vincitore.
Pertanto, fare una classifica su quale dei due presidenti, Lincoln e Davis, si è comportato peggio non mi sembra onorevole per entrambi. Non credo che nessuno dei due abbia ordinato azioni efferate contro i civili, anche se una "responsabilità politica" di tutto quello che accadde durante la guerra, sia nel bene che nel male, necessariamente deve ricadere su di loro. A mio avviso, Lincoln e Davis sono state due persone integerrime e profondamente oneste che miravano il primo a preservare l'Unione, il secondo a garantire l'indipendenza del Sud, cercando quest'ultimo di mantenere un tipo di società che personalmente non condivido, ma, detto questo, a mio avviso, devono ritenersi entrambi due giganti della storia.
Finisco la disamina sui due Presidenti citando la frase dello storico David M. Potter, richiamata all'inizio del presente articolo, il quale scrisse una volta che “non sembra affatto irrealistico supporre che se l’Unione e la Confederazione avessero cambiato presidente l’una con l’altra, la Confederazione avrebbe potuto ottenere la sua indipendenza”.
Questa valutazione risulta molto interessante; in definitiva, l’unico modo per valutare ogni uomo come comandante in capo è guardare i risultati. Lincoln vinse la guerra, e lo fece diventando un efficace comandante in capo. Davis ha perso la guerra e ha commesso degli errori, ma gli fu anche affidato un compito monumentale, quasi impossibile: cercare di guidare una nazione nascente con risorse limitate in una guerra estenuante e moderna.
Sia Lincoln che Davis si sono trovati di fronte ad un conflitto che assumerà proporzioni notevoli. Nel caso di Lincoln, è stato l'unico presidente nella storia americana a trovarsi in guerra quasi ogni giorno in cui ha occupato la Casa Bianca. Sia lui che Jefferson Davis, la cui Confederazione operava con un sistema costituzionale e politico simile a quello dell'Unione, furono costretti a improvvisare, impegnandosi essenzialmente come comandanti in capo. Non c'è da meravigliarsi che il loro mandato come comandante in capo fosse pieno di difficoltà e di problemi senza precedenti che non si erano mai verificatisi nel corso della storia americana.