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•Le ultime settimane nel Sud prima della guerra civile
Testo di Stefano Senesi
Pubblicato il 27/01/2010
Per approfondire l'articolo è possibile consultare sul forum nella
sezione "Stati Confederati d'America" la discussione "Gli ultimi
mesi prima della guerra, nel Sud" e il messaggio dell'utente "Mason&Dixon"
del 20 gennaio 2010 contenente la "Lezione di Congedo" di Raimondo
Luraghi.
Nell’inverno
1860/61 la secessione degli stati sudisti andò via via
materializzandosi. Con il susseguirsi degli avvenimenti, nella
neonata Confederazione divenne abbastanza chiaro che se gli stati
sudisti appena costituitisi e da poco separati dall’Unione, volevano
conquistare l’indipendenza a tutti gli effetti, la guerra sarebbe
stata inevitabile. Il nord non avrebbe permesso con le buone la
scissione di detti stati dall’Unione. Ma come era l’atmosfera nel
sud in quei mesi che precedettero lo scoppio della guerra ? Quali
aspettative vi erano circa il conflitto armato che andava
delineandosi ? Non tutti gli storici sono dello stesso parere. Come
si conviene in questi casi, c’è chi afferma che nel sud regnava
ottimismo, chi invece propone tesi diametralmente opposte. Di quest’ultima
corrente fa parte Il Professor Luraghi, emerito storico, il quale
afferma nella sua opera “Le Stelle e le strisce”, edito da Bompiani,
che nella Confederazione vi era la consapevolezza latente che le
sorti della guerra che andava profilandosi, erano segnate. Il Sud
non c’e l’avrebbe fatta a sconfiggere il Nord. Ecco quanto afferma
il Professore nel suo libro: -“ ...Personalmente, attraverso lunghe
meditazioni sui documenti, sono giunto a persuadermi che nel 1861 il
Sud "sapeva" benissimo che avrebbe perso la guerra, ma lo sapeva non
gia' a livello cosciente, ma a livello inconscio. Nell'inconscio
collettivo del Sud (e per capire cio' occorre studiare a fondo non
tanto i documenti "ufficiali", quanto quelli privati di ogni genere
e tipo, fino ai piu' umili) si era andata poco a poco chiaramente
sviluppando una prevalenza di quello che Freud chiamo' "l'istinto di
morte", la sensazione angosciosa e profonda di appartenere a un
mondo su cui stavano per calare le ombre del crepuscolo, un mondo
che stava morendo: se ne ha quasi la sensazione "fisica".
Da tutti i documenti (specialmente da quelli privati, non destinati,
ripeto, alla pubblicazione) emerge chiaramente lo stato d'animo del
Sud in quei fatali momenti: o la conquista dell'indipendenza, o e'
la fine di tutto un mondo. Ne' vale dire che questo mondo si sarebbe
"salvato" rimanendo entro l'Unione: si sarebbe salvata la schiavitu',
certo, ma la "cultura", la civilta' del Sud sarebbero perite di
lenta decomposizione. La scelta fu chiaramente di arrischiare il
tutto per tutto sui campi di battaglia.
Il Sud gioco' questa carta, e perse. Ma il problema che ci deve qui
interessare e' "come" perse e perche' accetto' la lotta secondo i
termini e sul terreno scelti dal nemico, cioe' accetto' una lotta la
quale, dato il grado dell'evoluzione tecnologica, non poteva essere
altro che la prima guerra "industriale" della storia. Come mai
allora il Sud scelse coscientemente di combattere sul terreno scelto
dal nemico? Forse un barlume di risposta a questo quesito puo'
essere dato dal titolo di un libro scritto da uno tra i piu'
autorevoli storici americani, Wendell Holmes Stephenson: The South
lives in History.
Il vinto Sud, il defunto Sud indubbiamente "vive nella storia": e'
questo un dato di fatto incontrovertibile. Certo, coloro che
combatterono nelle forze sudiste di terra e di mare non cessarono
mai di sperare in un successo (al Sud non era necessario battere il
nemico: gli sarebbe bastato non venire battuto). La speranza, si sa,
e' l'ultima a morire, specialmente la speranza dei combattenti. Il
Sud, in quell'alba tragica del 1861, "sapesse" che piu' altro non
gli rimaneva se non scegliere "il modo di morire".
Possiamo quindi dire che forse il Sud, essendo come civilta' ormai
condannato a perire e sapendo di esserlo, scelse di morire nel modo piu' idoneo per poter rinascere nella Storia. Mi rendo conto che,
con una simile tesi, sembra si esca del tutto dal binario della
storiografia empirica; che forse nessun documento potra' mai provare
quello che io sto dicendo (se pure tuttavia una analisi della
documentazione condotta con il metodo della psicologia collettiva
arriverebbe a diversa conclusione). Quello su cui ho costruito la
mia ipotesi e' tutt'altro. E', anzitutto, quella profonda esperienza
delle cose umane che matura con il trascorrere degli anni e degli
studi e che conduce a capire che chi faccia professione di storico
non ha a che fare solo con aridi dati; che, di la' da tutto il
materiale empirico, cio' di cui e' colma la storia sunt lacrimae
rerum….” -
Come si evince facilmente da questo scritto il Professor Luraghi, ci
illustra che, a suo avviso, i Sudisti andavano ad affrontare
l’immane conflitto che stava per iniziare, quasi come se fossero
delle vittime predestinate. E’ una descrizione molto romantica e che
può suscitare una certa ammirazione per come il Sud si stava
preparando alla guerra. Si ritenevano battuti in partenza, ma non si
sarebbero sottratti a quello che sembra, dagli scritti del
professore, quasi come una questione di onore. La mentalità
romantico-cavalleresca dei sudisti, li obbligava, in un certo senso
a battersi a tutti i costi, nonostante la sconfitta sembrasse
inevitabile. Ovviamente queste riflessioni possono suscitare in
alcuni un certo scetticismo, in effetti altri scritti ci fanno
invece ipotizzare altri scenari “psicologici”, diametralmente
opposti a quanto scritto sopra. Il giornalista scrittore V.H. Russel,
nei primi mesi del 1861, ebbe occasione di viaggiare negli Stati
Uniti e di fare visita trà gli altri, anche al presidente della
confederazione Jefferson Davis. In compagnia del presidente vi era
anche il senatore del Mississippi Wigfall.
V.H. Russel ebbe un interessante conversazione/intervista con
entrambi nel marzo 1861, proprio alla vigilia dello scoppio delle
ostilità , che riportò nel suo libro: “My diary North and South”. Il
primo a rivolgersi al giornalista, fù proprio il presidente Davis,
cito alcuni passi della conversazione/intervista, che sono in un
italiano un po’ “maccheronico”, in quanto riportati nell’opera:
“l’America nel 1863” di John Bigelow, tradotto in Italiano nel 1870:
“…m'interrogò su quel che avevo veduto nel mio viaggio nel sud. gli
risposi aver notato immensi preparativi militari, ed essere stupito
della rapidità con cui il popolo corse alle armi. - signore,
(ripigliò) i vostri compatrioti che vennero a vederci si sono
burlati del gran numero di generali, di colonnelli, di maggiori che
v'incontrano. il fatto stà che noi, che che se ne dica, siamo un
popolo essenzialmente militare. per ciò non è necessario tener in
piedi immensi eserciti. Noi siam forse i soli frà cui i giovani
ricevano, nelle scuole speciali, un educazione militare senz'esser
destinati a questa carriera.-
"io gli domandai di darmi una specie di salvacondotto nel caso
cadessi mai in qualche capobanda nel tornare al nord. egli mi
promise di dar istruzioni necessarie al ministro della guerra.-ma
(soggiunse) siate certo d'esser frà popolazioni intelligenti, che
conoscono la vostra posizione, e apprezzano il vostro carattere. noi
non vogliamo conquistar la simpatia dell'Inghilterra con mezzi
indegni di noi; abbiam il rispetto di noi stessi; e non temiamo
sottomettere i nostri atti all'indagine d'uomini imparziali. quanto
ai nostri motivi, dio li giudicherà".
"mi lasciò capire d'aver la più alta opinione della Francia come
potenza militare; ma le se simpatie voleansi meglio all'Inghilterra,
benchè non dissimulasse quanto sarebbe difficile guadagnarla alla
causa del sud, atteso il problema della schiavitù. non fece veruna
allusione al governo di Washington, ma mi chiese se l'Inghilterra
credesse alla guerra. e come risposi che l'opinione pubblica non
aspettava ostilità immediate, egli ripigliò: - voi vedete che ci
costringono a prender l'armi per difendere i nostri diritti e le
nostre libertà".
Le parole del Presidente Davis sono quelle di un uomo tutt’altro che
rassegnato, in più è bene ricordare che nel marzo del 1861, la
Confederazione era composta da soli sette Stati: la Virginia, lo
stato più ricco del Sud, il North Carolina, il Tennesse e l’Arkansas
non avevano al momento aderito alla secessione. Nonostante ciò il
Presidente pare ben determinato alla lotta. Nelle sue parole si
intuisce chiaramente quali saranno le carte su cui intendeva puntare
per avere ragione del nemico.
La superiorità di uomini e mezzi cui il Nord godeva, non era
ritenuta determinante . Il pensiero del Presidente Davis , ne è
prova lampante. Secondo i sudisti, a fare la differenza, sarebbe
stata la preparazione militare e la predisposizione al
combattimento, qualità cui loro ritenevano di averne a iosa. La
superiorità del Nord in uomini e mezzi di cui godeva, non si
riteneva avrebbe pesato più di tanto sul piatto della bilancia per
un semplice motivo: l'esperienza europea delle guerre napoleoniche
era arrivata anche negli Usa, tutti si erano forgiati a quella
scuola ed avevano studiato le gesta del grande Imperatore. Ragion
per cui l'opinione prevalente era che la guerra sarebbe durata poco
tempo e poche battaglie e questo valeva anche per il Nord. Prova ne
è che nel luglio 1861, le truppe unioniste che si misero in marcia
da Washington verso sud, lo fecero al grido popolare di: “A
Richmond, a Richmond !”, che era la capitale della Confederazione.
Le truppe nordiste che componevano l’esercito che di lì a poco si
sarebbe scontrato contro i Sudisti a Bull Run (o Manassass), era
composto nella sua maggior parte, da volontari che si erano
arruolati nei mesi precedenti con ferma di 90 giorni: questo è un
indizio abbastanza lampante che pure nel Nord si ipotizzava che il
conflitto sarebbe durato poco tempo e poche battaglie, proprio come
ai tempi di Napoleone. Per avere un idea di quello che pensavano i
Sudisti riguardo loro stessi, il loro paese ed ai rapporti con il
nord, è molto interessante l’opinione dell’altra persona con cui
parlò V.H. Russell, vale a dire appunto il Senatore del Mississippi
Wigfall, che affermò:- “… noi (diceva questi) siamo in popolo tutto
diverso: voi non ci capite, non potete capirci, perchè non ci
conoscete che dagli scrittori del nord, dai giornali del nord, che
anch'essi ignorano chi siamo o non dicono quel che sanno. Noi siamo
un popolo agricolo, un popolo civilizzato, benchè primitivo. Non
abbiamo città, e non ne sentiam bisogno: non letteratura, e non
avremmo a che farne. i giornali sono inutili qua, perchè le
questioni pubbliche noi le dibattiamo in istrada, di s'un paracarro;
non abbiamo nè navi di traffico nè da guerra, e ne siamo ben
contenti. i vostri legni servono a trasportare le nostre produzioni,
e voi siete abbastanza forti per proteggerli. non operai. finchè
produrremmo riso, zucchero, tabacco, cotone saremo ricchi quanto
basta per comprare dalle nazioni amiche tutto quel che ci bisogna, e
fare avanzi. ma non faremo mai il più piccolo commercio cogli
americani del nord; no, mai di certo: mai una libbra di cotone non
andrà direttamente dal sud nelle loro maledette città; mai un chiodo
fabbricato nelle loro fucine passerà la nostra frontiera".-
In poche parole il Senatore, riassume al giornalista tutto quello
che era il Sud, la sua mentalità, la sua organizzazione economica ed
i suoi rapporti commerciali con l’estero.
In questi due interviste fatte proprio alla vigilia dello scoppio
delle ostilità, viene racchiusa tutta la determinazione del Sud che
fanno da contraltare a quelle che sono le riflessioni del Professor
Luraghi.
E’ possibile supporre che nel Sud non vi fosse rassegnazione, anzi
la Secessione sollevò nella neonata Confederazione un ondata di
ottimismo che a volte sfiorò il fanatismo, i Sudisti accettarono di
combattere secondo i metodi tradizionali dell’epoca, proprio perchè
pensavano con questi sistemi di vincere la guerra, non di perderla !
I confederati si illudevano, prima dello scoppio del conflitto, che
la loro tradizione militare, il fatto che al Sud ogni uomo era
potenzialmente un soldato già bello e fatto, avrebbe fatto pendere
la bilancia della guerra a loro favore. In pochi a Nord ed a Sud,
ebbero la lungimiranza di immaginare in che cosa si sarebbe evoluto
via via il conflitto che andava ad iniziarsi: vale a dire una guerra
totale, dove tutti gli apparati economici, industriali ed umani
delle due nazioni sarebbero stati protesi sino all’estremo nel vano
tentativo per il Sud, di vincere la guerra e conquistarsi la sua
indipendenza. Nella primavera del 1861 questa realtà non poteva, né
avrebbe potuto essere altrimenti, aver preso coscienza nelle menti
che dirigevano le due Nazioni ed i due eserciti.
Forse solamente il Generale in capo dell’esercito Nordista,
l’anziano Winfield Scott, era arrivato a preconizzare vagamente quel
che sarebbe potuto succedere, ma proprio per questi suoi pensieri,
venne fatto oggetto di critiche anche ironiche dai suoi stessi
concittadini.
I Sudisti forti della loro esperienza e tradizione militare,
appellarono i combattenti Nordisti con disprezzo come “ Un esercito
di sarti e barbieri”. Non pensavano che quell’esercito avrebbe
potuto sconfiggerli.
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