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•Discorso inaugurale di
Lincoln alla Presidenza degli Stati Uniti
Testo e traduzione di
Stefano Di Matteo
Pubblicato il 04/03/2011, in occasione del centocinquantesimo anniversario
Premessa- La situazione negli
USA al momento dell'entrata in carica di Lincoln
Lo Stato della Carolina del Sud, il 20 dicembre 1860, si separò dal
governo federale di Washington e si staccò dagli Stati Uniti
D'America. Il 9 gennaio 1861 lo Stato del Mississippi decise
anch'esso di lasciare gli USA e di seguire la scelta della Carolina
del Sud. I due Stati non sarebbero più rimasti dentro un'Unione
guidata dal primo presidente "repubblicano". Abraham Lincoln era
stato eletto alla fine del 1860, ma non si era ancora insediato alla
Casa Bianca (allora i presidenti eletti entravano in carica il 4
marzo, non il 20 gennaio come avviene dal 1933).
Il 10 gennaio, anche la Florida lasciò l'Unione. Poi seguirono
l'Alabama, la Georgia, la Louisiana e il Texas. L'8 febbraio, a
Montgomery, in Alabama, si tenne il primo Congresso degli Stati del
Sud. La secessione divenne una realtà. Fu quello il primo atto
formale di secessione degli Stati del Sud al quale sarebbe seguita
una guerra civile lunga quattro anni. Dalla secessione della
Carolina del Sud fino all'investitura formale di Lincoln, il paese
aveva vissuto uno stato di inerzia e di apprensione: nulla era stato
fatto dal governo uscente per arginare e reprimere la secessione.
Gli Stati del profondo Sud si erano quindi staccati dall’Unione e
avevano formato una nazione a se stante, la Confederazione (CSA). Vi
era stata la proclamazione del nuovo Stato a Montgomery con
l’elezione di un Presidente, Jefferson Davis.
Si sentiva nell'aria che altri Stati Sudisti si sarebbero
successivamente separati dall'Unione. Le tensioni esistenti da
decenni tra gli Stati del Nord e del Sud erano arrivati al culmine
con l'elezione alla Presidenza di Lincoln. Le proposte di
compromesso erano fallite in breve tempo.
Lincoln, al momento della sua elezione a presidente USA, non essendo
molto conosciuto, veniva guardato con sospetto e con curiosità; il
suo aspetto fisico, magro, alto e dinoccolato non lo aiutava di
certo, il suo imbarazzo che manifestava nelle pubbliche relazioni
dava da pensare e non era affatto un politico consumato o almeno non
dava l'impressione di esserlo; lo stesso dicasi per la sua mancanza
di esperienza nel campo della politica nazionale; come si sarebbe
comportato in un momento tanto terribile per la nazione? Si sarebbe
dimostrato un presidente all'altezza del gravoso compito che lo
attendeva? Come si sarebbe comportato nei confronti degli Stati
secessionisti? Nel complesso, dunque, il nuovo presidente non
ispirava molta fiducia agli osservatori della politica e alcuni
erano convinti che le funzioni di capo effettivo del nuovo esecutivo
le avrebbe svolte il suo segretario di stato, William E. Seward,
politico di rinomata esperienza. Ma Lincoln saprà imporre, nel corso
della guerra civile, la propria autorità e dimostrò di essere un
presidente risoluto. D'altronde, le posizioni iniziali di Lincoln
erano chiare: non estensione della schiavitù nei nuovi territori
dell'Ovest e difesa ad oltranza della indivisibilità dell'Unione.
All'atto della secessione, la nazione Americana era divisa a metà e
Lincoln poteva sembrare agli occhi degli osservatori il presidente
esclusivamente degli Stati del Nord. Ma nel discorso inaugurale di
insediamento alla presidenza USA, Lincoln non se ne diede per
inteso, lui era il nuovo presidente di tutti gli americani compresi
i secessionisti, linea di vedute che, nel corso di quegli anni, non
cambierà mai. Anzi, a mio avviso, sembra (volutamente) ignorare che
è sorta una nuova nazione che si contrappone agli USA. Lui è il
presidente di tutta la nazione Americana, gli Stati secessionisti
sono solo dei ribelli che devono tornare sulla retta via e cioè
nell’Unione.
La Cerimonia
Lincoln si presentò davanti al popolo Americano, per la sua
investitura quale presidente USA, il 4 marzo 1861, in un’atmosfera
pesante, cupa e gravida di conseguenze. Egli era arrivato a
Washington sotto il rischio di eventuali attentati alla sua persona, che potevano
essere di matrice filo-Sudista. La città era piena di visitatori.
Verso le ore 12,00, il presidente uscente Buchanan si recò
all'albergo dove alloggiava Lincoln per accompagnare il suo
successore sino al Campidoglio seguendo lo storico percorso al quale
si erano attenuti tutti i precedenti presidenti. Lincoln indossava
un abito nuovo, scarpe nere e camicia bianca e teneva in mano il
cilindro e un bastone d'ebano col pomo d'oro.
La piazza del Campidoglio dove si sarebbe tenuto il prescritto
giuramento era gremita di gente ed erano stati messi dei tiratori
scelti per garantire la sicurezza del neo-presidente. Lincoln
appariva impacciato e nervoso, tra l'altro, avrebbe giurato nelle
mani del giudice Taney, presidente della Corte Suprema USA,
filo-Sudista dichiarato, già noto per la sentenza nel caso Dred
Scott, dove sostanzialmente era stato ribadito che lo schiavo nero,
sia pur liberato, non era un soggetto di diritto a tutti gli
effetti. Quando Lincoln si alzò dal palco - dove era seduto con gli
esponenti politici e le più alte cariche della Nazione - per
pronunciare il suo discorso, la tradizione narra che il suo ex
rivale il sen. Douglas, con un gesto simbolico, gli resse il bastone
e il cappello per tutta la durata della cerimonia. Lincoln quando
cominciò a leggere il suo discorso, guardò la folla con aria ansiosa
e preoccupata; le sue prime parole furono tese a rassicurare gli
Stati Sudisti. Alla fine del discorso, la folla lo applaudì in modo
entusiastico. Forse, nella gente comune, Lincoln cominciava ad
ispirare fiducia.
Introduzione al discorso di
Lincoln
Il Discorso di insediamento riprende parecchi aspetti che erano già
stati messi in evidenza nei precedenti discorsi tenuti da Lincoln.
Tale discorso- che per alcuni storici presenta molti caratteri di
ambiguità - è incline al compromesso. Vi è chiaro il proposito di
non arrivare ad una rottura con gli Stati del Sud, ai quali Lincoln
tende una mano, invitandoli con le buone a tornare nell’Unione,
parafrasando la parabola del “Figliol prodigo”. Egli vuole evitare a
tutti i costi la guerra ed eventuali atti di violenza, ed è disposto
a fare delle concessioni agli Stati Schiavisti, purché ritornino
nell’Unione; infatti sul tema della schiavitù è volutamente ambiguo.
Lincoln è aperto a soluzioni di compromesso e dichiara espressamente
che non è sua intenzione abolire la schiavitù negli
Stati dove legalmente esiste. Non vuole attaccare gli Stati
Secessionisti, egli vuole che rientrino pacificamente nell’Unione.
Ribadisce però che l'Unione, sin dalla sua fondazione, è perpetua e
quindi la secessione degli Stati del Sud rappresenta un atto
violento e illegale.
Ricorda al popolo gli alti ideali di una volta quando venne
proclamata la Dichiarazione di Indipendenza Americana. Riconosce i
meriti dei suoi predecessori alla presidenza USA; il suo obiettivo
principale- e lo sarà per tutta la durata della guerra civile- è
quello di preservare l’Unione. Alla fine, risulta conciliante con i
Sudisti:”il governo non vi attaccherà”- dice.
Lincoln è disposto a sentire le loro ragioni. Con molta tristezza
ricorda al suo uditorio il solenne impegno che si è appena assunto
di salvare, conservare e difendere il governo degli Stati Uniti e
invita i cittadini del Sud a riflettere bene prima di schierarsi
contro il governo stesso. Citiamo uno dei passi più significativi
del discorso di Lincoln: “Nelle vostre mani, miei insoddisfatti
connazionali, e non nella mie, è la questione epocale della guerra
civile. Il governo non vi attaccherà. Non è possibile avere alcun
conflitto, senza essere voi stessi gli aggressori. Voi non avete
fatto alcun giuramento, registrato in Paradiso, di distruggere
l'Unione, mentre il mio impone nel modo più solenne di preservare,
proteggere e difendere essa”.
Lincoln intendeva chiudere con il predetto periodo il suo discorso,
ma Seward suggerì di chiudere con alcune parole metaforiche dalle
quali dovevano scaturire affetto e serena fiducia nell'avvenire;
Lincoln si mostrò d'accordo e infatti chiuse il discorso con un
commovente e accorato auspicio di fratellanza reciproca. Lincoln,
infatti, accettò alcuni suggerimenti proposti da Seward, il quale
aveva visionato in precedenza il testo del discorso, ma respinse con
fermezza le indicazioni fornitegli dal medesimo che non condivideva,
segno questo che la paternità del discorso doveva essere soltanto
sua in qualità di muovo presidente USA.
Reazioni suscitate nel paese al
discorso di Lincoln
I repubblicani radicali rimasero delusi dal discorso tenuto da
Lincoln in quanto si aspettavano che il neo-presidente usasse toni
più forti e minacciosi nei confronti dei Sudisti. Anche gli
abolizionisti del Nord accettarono con riluttanza il discorso in
questione a causa della riaffermazione del mantenimento della
schiavitù negli Stati dove vigeva legalmente. Ma Lincoln, in quel
particolare frangente, non poteva dire di più e meglio: la
responsabilità di scatenare una guerra civile doveva essere
interamente a carico dei Sudisti. I giornali meridionali, di
converso, definirono il discorso in questione coercitivo ai massimi
livelli.
Come abbiamo sopra scritto, alcuni storici, in passato, non hanno
apprezzato molto il presente Discorso tenuto da Lincoln, in quanto
lo hanno ritenuto troppo ambiguo ed incerto. In realtà, il Discorso
in questione è di un equilibrio senza pari. Fu una abile commistione
di fermezza e di conciliazione. Lincoln rivela ottime doti di
politico consumato: non era questo il momento di far vedere i
muscoli o di mostrare la maniera forte, se mai avrebbe dovuto farlo
prima il presidente uscente Buchanan, quando lo Stato della Carolina
del Sud per primo aveva seceduto ; invece, in quella occasione, come
sopra accennato, Buchanan era rimasto completamente inerte; per
Lincoln, a questo punto di non-ritorno, va negoziata una soluzione
pacifica prima di usare la forza delle armi e, nel presente
Discorso, emerge anche la sua abilità di Avvocato, mostrata nel modo
sapiente di citare le fonti giuridiche, pur a suo stretto uso e
consumo. Ma nel suo discorso trapela la volontà di usare anche la
forza come “estrema ratio” se gli Stati del Sud non ritornino
pacificamente nell’Unione. La minaccia dell’uso della forza è
larvata, ma- a mio parere- viene fuori nel contesto del discorso. Le
proprietà Federali esistenti negli Stati secessionisti- secondo
Lincoln- devono essere rispettate.
Pertanto, l’accusa mossa da alcuni contemporanei e da parte di
alcuni storici nei confronti di Lincoln, di essere stato, in
occasione del suo Discorso inaugurale, troppo ambiguo e indeciso- a
mio avviso- non sta in piedi. Il discorso in questione, tenuto in un
momento così tragico e a suo modo unico per la Nazione Americana,
presenta notevoli doti di maestria politica. Egli aveva illustrato
con molta semplicità la situazione esistente nel paese e aveva
indicato le direttive alle quali si sarebbe attenuto.
Una delle fotografie
dell'inaugurazione del 1861 sopravvissuta fino ad oggi e realizzata
da Benjamin B. French. Lincoln si trova sotto la tettoia di legno
sul palco.
Il Discorso
Concittadini degli Stati Uniti:
" In conformità con una tradizione antica quanto il governo stesso,
io ritengo di rivolgermi a voi brevemente, e di prestare, in vostra
presenza, il giuramento prescritto dalla Costituzione degli Stati
Uniti, che deve essere fatto dal Presidente "prima di entrare
nell'esercizio delle funzioni di questo ufficio".
Non ritengo sia necessario, al momento, discutere delle questioni
amministrative su cui non vi è alcuna particolare ansia o interesse.
Sembra esistere apprensione tra la gente degli Stati del Sud, che,
con la vittoria di un'amministrazione repubblicana, crede che le
loro proprietà, la loro pace e la sicurezza personale siano in
pericolo. Non c'è mai stato alcun motivo ragionevole per tale
apprensione. In effetti, la più ampia evidenza del contrario
esisteva da tempo ed è rimasta accessibile al loro esame. Si trova
in quasi tutti gli interventi pubblicati di colui che ora si rivolge
a voi. Non faccio che citare da uno di quei discorsi in cui dichiaro
che: "Non ho alcuna finalità, direttamente o indirettamente, di
interferire con l'istituzione della schiavitù negli Stati in cui
esiste. Credo di non avere alcun diritto legale di farlo, e non ho
alcuna inclinazione a farlo". Coloro che mi hanno nominato ed eletto
lo hanno fatto con la piena consapevolezza che avevo detto questa e
molte dichiarazioni simili, non avendole mai ritrattate. E inoltre,
esse posero come condizione nell'accettarmi, come legge per loro
stessi e per me, la risoluzione chiara e incisiva che ora mi accingo
a leggere:
" Deciso, Che l'inviolato mantenimento dei diritti degli Stati, e in
particolare il diritto di ogni Stato di ordinare e controllare le
sue proprie istituzioni nazionali secondo esclusivamente il proprio
giudizio è essenziale per l'equilibrio di potere da cui dipende la
perfezione e la durata del nostro tessuto politico, noi denunciamo
l'invasione illegale con la forza armata sul suolo di uno Stato o
Territorio, non importa con quale pretesto, come tra il più grave
dei crimini ".
Io ora ribadisco questi sentimenti, e nel farlo, sollecito soltanto
la pubblica opinione a vedere con tutta quella inequivocabile
chiarezza di cui il caso è suscettibile, che la pace e la sicurezza
delle proprietà di alcuna sezione non sono in alcun modo messe in
pericolo dall'Amministrazione subentrante. Aggiungo anche che tutte
le protezioni che, coerentemente con la Costituzione e le leggi,
possono essere date, saranno certamente date a tutti gli Stati,
quando legittimamente richiesto- per qualsiasi causa - volentieri a
una sezione come ad un'altra.
Ci sono molte polemiche circa la consegna degli schiavi fuggitivi
dal servizio o dal lavoro. La clausola che ora leggo è chiaramente
scritta nella Costituzione, come qualsiasi altra delle sue
disposizioni:
"Nessuna persona tenuta al servizio o al lavoro in uno Stato, ai
sensi delle leggi dello stesso, in fuga in un altro, non può, in
conseguenza di qualsiasi legge o regolamento lì vigente, essere
esonerata da tale servizio o dal lavoro, ma deve essere consegnata,
su richiesta della parte presso la quale presta tale servizio o
lavoro".
E' indubbio che questa disposizione è stata voluta allo scopo di
recuperare ciò che chiamiamo schiavi fuggiaschi, e l'intenzione del
legislatore, è la legge. Tutti i membri del Congresso giurano il
loro sostegno a tutta la Costituzione - a tale disposizione- come a
tutte le altre. Alla proposizione, che gli schiavi i cui casi
rientrano nei termini di questa clausola, "sono consegnati", i loro
giuramenti sono unanimi. Ora se essi volessero in tutta onestà
compiere un ulteriore sforzo, non potrebbero, con uguale unanimità,
formulare ed approvare una legge in virtù della quale sia possibile
tener fede a quel giuramento unanime?
C'è qualche differenza di opinione se questa clausola deve essere
fatta rispettare da un'autorità nazionale o da un'autorità statale,
ma certamente tale differenza non è molto importante. Se lo schiavo
deve essere riconsegnato, ma è di poca importanza per lui, o per
altri, da quale autorità ciò è compiuto. E non sarebbe forse
insoddisfacente se questo impegno venisse disatteso a causa di una
controversia formale sul “come” mantenerlo?
Ancora una volta, una legge su questo argomento non dovrebbe offrire
tutte le garanzie di libertà riconosciute dalle leggi civili e
umane, in modo tale che un uomo libero non sia, in ogni caso,
catturato come uno schiavo? E non potrebbe essere opportuno, allo
stesso tempo, provvedere per legge all'applicazione di tale clausola
della Costituzione che garantisce che "i cittadini di ogni Stato
hanno il diritto di tutti i privilegi e le immunità dei cittadini
dei diversi Stati"?
Io faccio il giuramento ufficiale oggi, senza riserve mentali e
senza scopo di interpretare la Costituzione o le leggi con metodi
ipercritici. E mentre io non scelgo ora di specificare particolari
atti del Congresso come dovrebbero essere eseguiti, io credo che
sarà molto più sicuro per tutti, sia negli uffici pubblici e
privati, di conformarsi e di rispettare tutti gli atti che non sono
stati abrogati, piuttosto che di violare uno qualsiasi di loro,
confidando di ottenere l'impunità per averli ritenuti
incostituzionali.
Sono passati 72 anni dopo la prima inaugurazione di un presidente,
sotto la nostra Costituzione nazionale. Durante tale periodo 15
cittadini, diversi e molto illustri, hanno, in successione,
amministrato il ramo esecutivo del governo. Essi hanno fatto ciò
attraverso molti pericoli, e, in generale, con grande successo.
Eppure, con tutti questi precedenti, io faccio la stessa operazione
per il breve periodo costituzionale di quattro anni, con grandi e
peculiari difficoltà. Una disgregazione dell'Unione federale, fino
ad ora solo minacciata, ora è fortemente tentata.
Ritengo, che nella previsione del diritto universale e della
Costituzione, l'Unione di questi Stati sia perpetua. La perpetuità è
implicita, se non espressa, nella legge fondamentale di tutti i
governi nazionali. E' certo affermare che nessun governo ha mai
avuto una disposizione nella sua legge organica che prevedesse la
sua fine. Continuare a eseguire tutte le disposizioni è previsto
dalla nostra Costituzione nazionale, e l'Unione durerà per sempre –
è impossibile distruggerla -se non per qualche azione non prevista
dalla stessa Costituzione.
Ancora una volta, se gli Stati Uniti non sono un governo proprio, ma
semplicemente una federazione di Stati sotto forma di un contratto,
può essere questo contratto tranquillamente rescisso se non da tutti
gli Stati che lo crearono? Uno dei contraenti può violare il
contratto, romperlo per così dire, ma non si richiede l'unanimità
per rescinderlo legalmente?
Discendente da questi principi generali, troviamo la proposizione
che, nella previsione del diritto, l'Unione è perpetua, confermato
dalla storia della stessa Unione. L'Unione è molto più antica della
Costituzione. Si è formata, infatti, dallo Statuto dell'Associazione
nel 1774. E' maturata e ha continuato a progredire con la
Dichiarazione d'Indipendenza del 1776. È stata inoltre arricchita da
tutti gli Stati, allora tredici, che hanno espressamente giurato e
si sono impegnati che fosse perpetua, nello Statuto della
Confederazione nel 1778. E, infine, nel 1787, uno degli obiettivi
dichiarati per ordinare e stabilizzare la Costituzione, era quello
di "formare una più perfetta Unione". Ma se la distruzione
dell'Unione, da parte di uno o più Stati , può essere legalmente
possibile, l'Unione sarebbe meno perfetta rispetto a prima della
Costituzione, avendo perso l'elemento vitale della perpetuità.
Risulta da questi punti di vista che nessuno Stato, su sua semplice
decisione, può legittimamente uscire dell'Unione, - le risoluzioni e
le ordinanze in tal senso sono giuridicamente nulle, e che gli atti
di violenza, all'interno di qualsiasi Stato o degli Stati, contro
l'autorità degli Stati Uniti, sono insurrezionali o rivoluzionari, a
seconda delle circostanze.
Ritengo pertanto che in virtù della Costituzione e delle leggi,
l'Unione sia indivisibile, e nei limiti delle mie capacità avrò
cura, come la stessa Costituzione mi impone espressamente, che le
leggi dell'Unione siano fedelmente eseguite in tutte gli Stati. Io
ritengo che ciò sia solo un semplice dovere da parte mia e ad esso
mi conformerò il più possibile, a meno che il mio maestro di
giustizia, il popolo americano, non ritenga di negare i mezzi
necessari, o, in modo coercitivo, indichi una diversa direzione.
Spero che questo non sarà considerato come una minaccia, ma solo
come lo scopo dichiarato dell'Unione che costituzionalmente devo
difendere e mantenere.
Nel fare questo non c'è bisogno di alcuna violenza o spargimento di
sangue, e non ci sarà nessuna violenza, a meno che non sia imposto
all'autorità nazionale. Il potere che mi concerne sarà utilizzato
per conservare, occupare, e presiedere le proprietà e i luoghi di
proprietà del governo, e di riscuotere i dazi e le imposte, ma al di
là di quello che può essere necessario per questi obiettivi, non ci
sarà nessuna invasione - nessun utilizzo della forza- tra e contro
il popolo, ovunque. Nei casi in cui l'ostilità verso gli Stati Uniti
in qualsiasi interna località, dovesse essere così grande e così
universale da impedire ai competenti cittadini residenti di
mantenere gli uffici federali, non vi sarà alcun tentativo di
introdurre forzatamente degli odiati stranieri tra il popolo per
quell'obiettivo. Mentre il rigido diritto legale può esistere nel
governo per far rispettare l'esercizio di tali funzioni, il
tentativo di farlo sarebbe così irritante, ed anche praticamente
impossibile, che io penso sia meglio rinunciare per ora all'uso di
tali uffici.
Il servizio postale, a meno che non sia abolito, continuerà ad
essere fornito in tutte le parti dell'Unione. Per quanto possibile,
il popolo ovunque deve avere quel senso di perfetta sicurezza che è
il mezzo più favorevole per calmare il pensiero e la riflessione. Il
corso qui indicato sarà seguito, a meno che gli eventi correnti e
l'esperienza indicassero una opportuna modifica o variazione, e in
ogni caso o esigenza sarà esercitata da parte mia la migliore
discrezione secondo le circostanze esistenti, e con la visione e la
speranza di una soluzione pacifica dei problemi nazionali, e il
ripristino delle simpatie ed affetti fraterni.
Che ci siano persone in una sezione o in un altra e che cercano di
distruggere l'Unione a tutti costi, e sono contenti di qualsiasi
pretesto per farlo, io non lo affermerò nè lo negherò, ma se vi
saranno, io non ho bisogno di dire loro alcuna parola. A coloro,
invece, che amano veramente l'Unione potrei non parlare?
Prima di entrare su una questione così grave come la distruzione del
nostro tessuto nazionale, con tutti i suoi benefici, i suoi ricordi,
e le sue speranze, non sarebbe saggio accertare con precisione
perché noi lo facciamo? Volete rischiare un passo così disperato,
mentre vi è qualche possibilità che qualche parte dei mali che si
temono non abbiano esistenza reale? Volete voi, mentre i mali certi
verso cui state andando sono maggiori di quelli da cui volete
sottrarvi, volete voi rischiare di commettere un errore così
terribile?
Tutti dichiarano di essere contenti di stare all'interno
dell'Unione, qualora tutti i diritti costituzionali possano essere
mantenuti. E' vero, allora, che il diritto, chiaramente scritto
nella Costituzione, è stata negato? Penso di no. Fortunatamente la
mente umana è così formata, che nessuna fazione può avere l'audacia
di fare questo. Pensate, se potete, ad un solo caso in cui una
disposizione chiaramente scritta nella Costituzione sia mai stata
negata. Se per la sola forza dei numeri, la maggioranza dovesse
privare una minoranza di qualunque diritto costituzionale
chiaramente scritto, ciò potrebbe, da un punto di vista morale,
giustificare una rivoluzione – e certamente sarebbe così- se tale
diritto costituisse un aspetto vitale. Ma questo non è il nostro
caso. Tutti i diritti vitali delle minoranze e degli individui sono
così chiaramente loro garantiti, con affermazioni e negazioni,
garanzie e divieti, nella Costituzione, che non sorgono mai
controversie su di essi. Ma nessuna legge organica potrà mai essere
inquadrata con una norma specifica applicabile a tutte le istanze
che possono verificarsi nella pratica amministrativa. Nessuna
previsione è in grado di anticipare, né alcun documento di
ragionevole durata può contenere disposizioni espresse per tutte le
possibili domande. I fuggitivi dal lavoro devono essere riconsegnati
dall'autorità Statale o Nazionale? La Costituzione non lo dice
espressamente. Può il Congresso proibire la schiavitù nei territori?
La Costituzione non lo dice espressamente. Deve il Congresso
proteggere la schiavitù nei territori? La Costituzione non lo dice
espressamente.
Da questioni di questo genere originano tutte le nostre controversie
costituzionali, e noi ci dividiamo su di loro in maggioranze e
minoranze. Se la minoranza non accetta, la maggioranza deve imporsi,
o il governo deve cessare. Non vi è altra alternativa poiché, per la
prosecuzione del governo, vi deve essere acquiescenza da una parte o
dall'altra. Se una minoranza, in tal caso, vorrà la secessione
piuttosto che sottomettersi, sarà un precedente che, a sua volta,
dividerà e porterà alla loro rovina, poiché una minoranza, al suo
interno, si staccherà ogni qualvolta la maggioranza si rifiuti di
essere controllata da questa minoranza. Per esempio, perché non può
qualsiasi parte di una nuova confederazione, tra un anno o due,
arbitrariamente separarsi di nuovo, proprio come le sezioni
dell'Unione ora presenti sostengono di separarsi da essa? Tutti
quelli che nutrono sentimenti di disunione, sono ora spinti alla
stessa disposizione d'animo.
C'è così perfetta identità di interessi tra gli Stati per comporre
una nuova Unione, cosicchè si produca armonia e si impedisca una
nuova secessione?
Chiaramente, l'idea centrale della secessione, è l'essenza
dell'anarchia. Una maggioranza, tenuta a moderarsi a seguito delle
restrizioni e limiti costituzionali, e che cambia sempre facilmente
con le modifiche deliberate da opinioni popolari e dai sentimenti, è
l'unico vero sovrano di un popolo libero. Chi lo rifiuta,
necessariamente, va verso l'anarchia o il dispotismo. L'unanimità è
impossibile, il governo di una minoranza, come soluzione permanente,
è del tutto inammissibile; così che, rifiutando il principio di
maggioranza, l'anarchia o il dispotismo in qualche forma è tutto ciò
che rimane.
Non dimentico la posizione assunta da alcuni che le questioni
costituzionali devono essere decise dalla Corte Suprema, né posso
negare che tali decisioni devono essere vincolanti, in ogni caso,
per le parti in una vertenza, in relazione all'oggetto di quella
vertenza, mentre esse hanno inoltre diritto al più alto rispetto e
alla più alta considerazione in tutti i casi del genere da parte di
tutte le altre branche del governo. E mentre è ovviamente possibile
che tale decisione possa rivelarsi erronea in un caso specifico, è
preferibile che l'effetto negativo che ne deriva sia limitato al
caso in questione e sia prevista la possibilità che tale decisione
possa essere cassata e non essere assunta a precedente per altri
casi piuttosto che accettare i danni di un altro tipo di pratica.
Allo stesso tempo, il comune cittadino deve ammettere che se la
politica governativa su questioni vitali di interesse generale fosse
fissata irrevocabilmente da decisioni della Corte Suprema, nel
momento in cui fossero trattate alla stregua di una causa ordinaria
tra le parti, il popolo cesserebbe di essere sovrano, avendo a quel
punto rimesso il proprio governo nelle mani di quell'eminente
tribunale. Ne vi è in questa visione una contestazione alla Corte o
ai giudici. E' un dovere a cui non possono sottrarsi, decidere i
casi regolarmente portati alla loro attenzione, e non è colpa loro
se gli altri cercano di trasformare le loro decisioni a scopi
politici.
Una sezione del nostro paese crede che la schiavitù sia giusta, e
debba essere estesa, mentre l'altra ritiene che sia sbagliata, e non
dovrebbe essere estesa. Questa è l'unica controversia sostanziale.
La clausola dello schiavo fuggitivo prevista dalla Costituzione, e
la legge per la repressione del commercio degli schiavi stranieri,
sono entrembe applicate, forse, come ogni legge può essere in una
comunità dove il senso morale delle persone imperfettamente tollera
la legge stessa. La maggioranza si conforma all'obbligo giuridico in
entrambi i casi, mentre alcuni lo infrangono. Questo, penso, non può
essere perfettamente impedito, e sarebbe peggio in entrambi i casi
dopo la separazione delle sezioni, rispetto a prima. Il commercio di
schiavi stranieri, ora imperfettamente soppresso, riviverebbe senza
alcuna restrizione in una sezione, mentre gli schiavi fuggitivi, ora
solo parzialmente rilasciati, non sarebbero rilasciati affatto
dall'altra.
Fisicamente parlando, noi non ci possiamo separare. Noi non possiamo
rimuovere le nostre rispettive sezioni le une dalle altre, né
costruire un muro invalicabile tra di loro. Un marito e una moglie
possono divorziare, e vivere separatamente, e l'uno allontanarsi
dalla vista dell'altro, ma le diverse parti del nostro paese non
possono farlo. Essi non possono che rimanere faccia a faccia, e i
rapporti, sia amichevoli o ostili, devono continuare tra di loro. E'
possibile, dunque, che il rapporto sia più vantaggioso o più
soddisfacente dopo la separazione rispetto a prima? Possono degli
estranei stringere patti più facilmente che degli amici fare delle
leggi? Possono i trattati essere più fedelmente rispettati tra gli
estranei di quanto le leggi lo possano tra amici? Supponiamo di
andare in guerra, non si può lottare sempre, e quando, dopo molte
perdite da entrambe le parti, e neppure nessun guadagno, cessano i
combattimenti, le stesse vecchie questioni, in relazione al
rapporto, sono di nuovo presenti.
Questo paese, con le sue istituzioni, appartiene al popolo che lo
abita. Ogni volta che il popolo è stanco del governo attuale, può
esercitare il suo diritto costituzionale di modifica della stesso, o
il suo diritto rivoluzionario di smembrarlo o rovesciarlo. Non posso
ignorare il fatto che molti cittadini, degni e patrioti, sono
desiderosi di modificare la Costituzione nazionale.
Pur non facendo alcuna promessa di revisione, io riconosco
pienamente l'autorità legittima del popolo su tutta la materia che
deve essere esercitata in uno dei modi prescritti nel documento
stesso, e io dovrei nelle attuali circostanze, piuttosto che
oppormi, favorire un'equa possibilità di dare al popolo la
possibilità di intervenire su quel documento.
Mi permetto di aggiungere che a me il sistema della Convenzione
sembra preferibile, in quanto permette che gli emendamenti promanino
dal popolo stesso invece di accettare o di respingere detti
emendamenti originati da altri, e che potrebbe non essere
esattamente quello che loro vorrebbero accettare o rifiutare. Sono a
conoscenza che una proposta di emendamento alla Costituzione, che io
non ho visto, è passata al Congresso, avente ad effetto che il
governo federale non debba mai interferire con le istituzioni
nazionali degli Stati, tra cui quella degli schiavi. Per evitare
interpretazioni errate di ciò che ho detto, io rinuncio al mio
proposito di non parlare di modifiche particolari, unicamente per
dire che, tenendo per certo che una tale disposizione sia ora
implicitamente legge costituzionale, io non ho alcuna obiezione che
sia resa esplicita e irrevocabile.
Il Presidente deriva tutta la sua autorità dal popolo, e il popolo
non lo ha delegato a fissare i termini per la separazione degli
Stati. Si può fare anche questo se il popolo lo desidera; ma il
potere esecutivo, come tale, non ha nulla a che fare con esso. Il
suo dovere è quello di amministrare la presente forma di governo ,
così come è arrivato nelle sue mani, e di trasmetterlo, inalterato,
al suo successore.
Perché non dovrebbe esserci una paziente fiducia nella giustizia
finale del popolo? C'è qualche speranza migliore o uguale nel mondo?
Nelle nostre presenti differenze, è una delle due fazioni senza la
consapevolezza di essere nel giusto? Se il governo dell'Onnipotente
delle nazioni, con la sua eterna verità e giustizia, sia dalla parte
del Nord, o da quella del Sud, quella verità, quella giustizia,
sicuramente prevarrà, nel giudizio di questo grande Tribunale del
popolo americano.
Nella cornice del governo sotto il quale viviamo, questo stesso
popolo ha saggiamente dato ai suoi pubblici servitori poco potere di
fare danni e ha, con equa saggezza, provveduto a far tornare quel
poco nelle proprie mani a intervalli molto brevi.
Mentre il popolo conserva la sua virtù e la vigilanza, nessuna
amministrazione, per un estremo di malvagità o di follia, può
seriamente danneggiare il governo nel breve spazio di quattro anni.
Miei connazionali, tutti, pensate con calma e bene su questo
complesso argomento. Niente di buono può essere perso se prendiamo
tempo. Se ci fosse l'obiettivo di spingere in tutta fretta qualcuno
di voi ad un passo che, deliberatamente, non prendereste mai, quell'obiettivo
verrà annullato prendendo tempo, ma nessun buon obiettivo può essere
annullato da ciò. Chi di voi è ora insoddisfatto ha ancora la
vecchia Costituzione inalterata e, sul punto dolente che interessa,
nel suo interno stanno le leggi che voi stessi avete scritto, mentre
la nuova amministrazione, anche se volesse, non avrà alcun potere
immediato di modificarla. Ammesso che voi insoddisfatti, siate nel
giusto su questo punto della controversia, non esiste ancora una
sola buona ragione per far precipitare gli eventi. L'intelligenza,
il patriottismo, la cristianità, e una ferma fiducia in Dio, che non
ha mai abbandonato questa terra favorita, sono ragioni ancora
sufficienti per regolare, nel modo migliore, tutte le nostre attuali
difficoltà .
Nelle vostre mani, miei insoddisfatti connazionali, e non nella mie,
è la questione epocale della guerra civile. Il governo non vi
attaccherà. Non è possibile avere alcun conflitto, senza essere voi
stessi gli aggressori. Voi non avete fatto alcun giuramento,
registrato in Paradiso, di distruggere l'Unione, mentre il mio
impone nel modo più solenne di “preservare, proteggere e difendere
essa”.
Sono restio a concludere. Noi non siamo nemici, ma amici. Noi non
dobbiamo essere nemici. Anche se le passioni possono averli
allentati, non si devono rompere i nostri legami di affetto. Le
corde mistiche della memoria, che si estendono da ogni campo di
battaglia e da ogni tomba di patriota, ad ogni cuore vivente e
focolare, in tutta questa nostra immensa terra, si uniranno al coro
dell'Unione, quando ancora una volta saranno suonate, come
sicuramente avverrà, dai più nobili angeli della nostra natura.
Fine
Si ringrazia la dott.ssa Cristiana Boros per aver collaborato alla
revisione della traduzione
Fonti
David B. Davis- David H. Donald : “Espansione e Conflitto, Gli
Stati Uniti dal 1820 al 1877”.
Benjamin Thomas: “Abraham Lincoln”
Andrè Maurois: “Storia degli Stati Uniti”
Lord Charnwood: “Lincoln”
www.loc.gov/exhibits/treasures/trt039.html
www.bartleby.com ( dal quale è stato tratto il discorso in inglese
di Lincoln)
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