|
HOME>LE NAZIONI E LA GUERRA>La finanza federale
•La finanza federale
Testo di Matteo Bellotto.
Pubblicato il
11/07/2010
Capitolo IV, riveduto e corretto della Tesi di Laurea in Economia e
Commercio – ambito Scienza delle Finanze dal titolo “Federalismo
fiscale ed evoluzione dei rapporti finanziari tra i vari livelli di
governo negli Stati Uniti d’America”.
Il governo Washington (1789-1797) ebbe
come ministro del Tesoro (Secretary of Treasaury) il leader dei
federalisti Alexander Hamilton che lavorò sin dall’inizio alla
costruzione di un forte ministero che avrebbe dovuto essere la guida
per le varie tesorerie statali11.
Si istituì un Dipartimento che rispondendo del proprio operato sia
al Presidente sia al Congresso era in realtà molto autonomo nelle
proprie scelte di politica fiscale. L’intelaiatura del tesoro
prevedeva oltre ad un vice segretario, un “comptroller” o direttore
delle entrate; un “auditor” o revisore dei conti; il “treasaurer” il
tesoriere vero e proprio; e l’ufficiale del Registro che aveva i
compiti di segretario del Dipartimento. Nel 1792 alla figura del
comptroller si affiancò quella del “commissioner”, il primo seguiva
le entrate derivanti da dazi e tariffe ed il secondo le entrate
interne. Sempre in quell’anno si costituì la Zecca Federale che
avrebbe iniziato a coniare i primi dollari nel “94.12
La discrezionalità dell’operato di Hamilton, seppure meritorio,
suscitava qualche malumore soprattutto tra gli antifederalisti,
proprio a causa di questa autonomia operativa. Si cominciò ad
accusare il governo di “affarismo” e commistione tra cosa pubblica e
cosa privata13. Per ridurre la
discrezionalità finanziaria del governo si istituì nel 1796 uno
“Standing Committee”14 presso
la Camera dei Rappresentanti (quest’ultima era ed è la sola Camera
ad avere l’iniziativa delle leggi in materia fiscale), allo scopo di
organo controllore e referente dell’operato del Tesoro e sulle
entrate e spese federali.15
Hamilton aveva basato la sua politica su alcuni capisaldi e cioè,
che le entrate federali dovevano basarsi principalmente su dazi
doganali, che avrebbero costituito anche una protezione alle
nascenti manifatture del New England, e sulle imposte indirette in
generale. Nel caso non si fosse ancora raggiunto il pareggio di
bilancio, si sarebbe ricorsi ad una ampia e ben organizzata campagna
di vendita di terre demaniali federali, il cui ricavato avrebbe
consentito di ripagare quote del debito federale ed attuare anche
una politica di lavori pubblici. Si sarebbe dovuta organizzare una
banca federale con capitale misto che avrebbe servito il governo
nelle sue operazioni di collocamento di titoli del debito pubblico e
riscosso i tributi nelle varie parti della federazione tramite le
proprie filiali. Da ultimo la Federazione avrebbe dovuto farsi
carico di tutti i debiti dei singoli stati.16
Cominciando dalla politica tariffaria, già dal 1789 furono
introdotti dazi specifici sulle importazioni di trentasei prodotti
tra cui cacao, caffè, liquori, acciaio e cordame; dazi varianti tra
7,5 % , 10% e 15% su ferro, pietra, carriaggi e articoli di vetro;
un dazio fisso pari al 5% su tutti gli altri prodotti non
considerati di libera importazione. A queste tariffe se ne sommava
una ulteriore di 6 centesimi la tonnellata sulla stazza delle navi
statunitensi e pari a 50 centesimi su quelle straniere; i pagamenti
dovevano avvenire in contanti o titoli del debito pubblico federale
ed erano previsti sconti per quelli pronta cassa.
Le dogane fornivano all’erario federale circa un terzo del proprio
fabbisogno, quindi furono previste una serie di imposte indirette
dal 1791 (con revisioni nel “94 e “97), come le accise sui liquori,
la più famigerara delle quali fu quella sul whisky che prevedeva
un’imposta variante tra il 9 ed il 30% sul prezzo del gallone (1
gallone = 3,78 litri) che nel “94 portò ad una ribellione dei
distillatori della Pennsylvania; altre accise erano imposte sul
possesso di carri, sul tabacco da fiuto, sulla raffinazione dello
zucchero. Si imposero anche tasse sulle vendite all’asta, licenze
per la vendita di liquori e marche da bollo (dal 1797).
Per quanto riguarda la vendita delle terre di proprietà federale,
Hamilton aveva pensato che vendere 21 milioni di acri delle terre
del nord-ovest in via di sviluppo, avrebbe portato nelle casse
federali tra i tre ed i quattro milioni di dollari. La manovra oltre
ad avere un ritorno immediato, rappresentava per l’amministrazione
centrale l’occasione di indirizzare, se non proprio determinare, lo
sviluppo di alcune parti della federazione anche a scapito dei
desideri degli stati, e di permettere una ampia possibilità di
accesso alla proprietà fondiaria da parte dei coloni che si
spingevano verso l’ovest. Nel 1796 fu varata una “land ordinance”
permanente, con cui, come in un provvedimento analogo del “85, si
stabiliva che la quantità minima vendibile fosse di 640 acri a 2 $
l’acro (1 acro = 4046,86 mq) con pagamento da effettuarsi in due
rate. In realtà il piano di incassare denaro a sufficienza per più
progetti fallì, e si può affermare che la vendita di terre non
rappresentò mai, salvo alcune limitatissime eccezioni negli anni
1835 – 36 - 37, una fonte di entrata sicura e ampia, ma rivelandosi
piuttosto un provento integrativo.17
Nel 1791 dopo ampi dibattiti fu fondata la “Banca degli Stati Uniti”
con una licenza di venti anni e capitale di 10 milioni di dollari di
cui un quinto sottoscritto dal governo. La banca ispirata al modello
inglese, funzionava da garante per le operazioni del governo, e cosa
importante per l’epoca, emetteva carta moneta che doveva essere
accetta in tutta l’Unione e svolgere un compito di “regolatrice” del
sistema finanziario anche dei singoli stati.
Da ultima, la questione del “debito nazionale” rappresentò per la
politica federalista un successo. Hamilton riuscì a far approvare il
suo piano nell’agosto del 1790 dopo aspri dibattiti. Egli sosteneva
che il debito dei vari stati derivava dallo sforzo bellico
rivoluzionario e che avendo avuto ogni singolo debito lo stesso
scopo, cioé quello di costruire una unione indipendente, sarebbe
stato corretto che l’Unione una volta raggiunta l’indipendenza se ne
fosse fatta carico attraverso un consolidamento. C’era poi la
questione di risollevare il credito pubblico federale, e solo il
consolidamento avrebbe dato fiducia agli investitori. I contrari
alla proposta, tra cui James Madison, leader della Camera,
sostenevano che la manovra avrebbe avvantaggiato gli stati meno
virtuosi a scapito di quelli meno popolosi o che con sacrifici
avevano già ripianato i propri debiti. Nel 1790 quindi ai 54 milioni
di dollari di debito federale se ne aggiunsero 18 di debito statale.18
Alexander Hamilton si dimise dalla carica di Segretario del Tesoro
nel 1795 ma continuò ad esercitare un’influenza sull’esecutivo fino
alla fine dell’epoca federalista. Gli successe nell’ufficio Oliver
Wolcott, che continuò l’opera del predecessore e che viene ricordato
per aver varato un piano finanziario che prevedeva l’uso
dell’imposta diretta per far fronte alla diminuzione delle entrate
derivanti dalle guerre rivoluzionarie e napoleoniche in Europa. La
proposta passò al Congresso nel 1798. Esso prevedeva il prelievo di
due milioni di dollari all’anno che fu ripartito come previsto dalla
Costituzione, in modo proporzionale agli abitanti degli stati (gli
schiavi venivano tassati per il 50%, le abitazioni e la terra
secondo il loro valore locale)19.
Essendo il metodo complicato e la base imponibile difficile da
quantificare, oltre al fatto che gli stati (responsabili della
raccolta del denaro) non erano molto favorevoli a questa forma di
imposizione, nel 1801 fu raccolta solo la metà della somma prevista.
Riguardo la tassazione diretta è interessante notare che proprio nel
1796, nel caso Hylton contro Stati Uniti20,
la Corte Suprema Federale sancì che la tassa federale sui carriaggi
non era da considerarsi diretta perchè sul consumo e sul costo del
mezzo. Questo caso non riuscì a stabilire una netta differenza tra
imposizione diretta ed indiretta ma servì solo a rimarcare il fatto
che le “direct taxes” contemplate nella Costituzione erano solo due,
la capitazione o poll tax senza riguardo per la proprietà, la
professione e altre circostanze; e la tassa sulla terra.21
In conclusione si può dire che la politica fiscale federalista fu
senz’altro coerente e ben costruita tanto che, con le modifiche
apportate dalla prime amministrazioni jeffersoniane, restò in vigore
fino ai primi decenni del “900.
Diversamente dal lato dell’efficacia appare invece uno squilibrio
tra obiettivi e mezzi, e questo per due motivi complementari: la
dimensione di programmi troppo vasti per le risorse della neonata
federazione; e l’opposizione politica e materiale dei governi
statali a programmi troppo “invadenti” della loro autonomia.
Con il cambio di maggioranza alla guida dell’Unione, cambiò anche la
linea politica in materia fiscale. Dal 1801 i
Repubblicani-democratici con segretario del tesoro Albert Gallatin,
che restò nel suo ufficio sino al 1813, si può dire che
smantellarono in poco tempo una parte dell’opera delle
amministrazioni Hamilton-Wolcott, che vale la pena ripeterlo
consideravano una fonte di affarismo e clientelismo oltre che una
minaccia alle libertà degli stati. Nel lungo periodo di permanenza
al ministero, Gallatin, migliorò l’organizzazione del tesoro
improntata dai predecessori, da un lato riducendo i poteri del
Presidente e del Segretario in materia fiscale e dall’altra
introducendo aspetti tecnici di trasparenza e garanzia (bisogna
affermare che le accuse di clientelismo rivolte ad Hamilton ed ai
federalisti derivavano in gran parte dalla mancanza di chiarezza sui
dati del governo),
introducendo un sistema di reporting sia al governo sia al
parlamento che fu in vigore fino al 1921 (con la Legge del Budget
che unificò i bilanci dei vari dipartimenti ed agenzie federali). Fu
introdotta anche una stringente attività di controllo del Congresso
sulle operazioni di indebitamento che fu in vigore fino al 191922.
Il nuovo programma era molto semplice : ridurre il debito pubblico,
riducendo le spese, soprattutto militari, e vendendo la terra
demaniale. A questo proposito, bisogna ricordare che nel 1803 si
operò quello che va sotto il nome di “Acquisto della Louisiana” che
praticamente raddoppiò la superficie degli Stati Uniti e aprì alla
colonizzazione l’intero bacino del Mississippi ; l’acquisto dalla
Francia fu pagato 15 milioni di dollari di cui 13 pagati ricorrendo
al debito pubblico a quindici anni23.
La politica dei jeffersoniani, che era improntata ad un giusto
liberismo, andò subito a ritoccare le tariffe daziarie e ad
eliminare le accise che nel 1802 facevano introitare circa 600.000 $
. Nel periodo 1803-08 le entrate per dazi aumentarono per il duplice
fatto che ora si riscuotevano anche le tariffe del grande porto di
New Orleans e perchè a più riprese furono applicate delle aliquote
medie del 16% per finanziare le operazioni di contrasto alla
pirateria barbaresca che ostacolava i commerci nel Mediterraneo e
nell’Atlantico . Commerci che peraltro risentivano già delle guerre
napoleoniche in Europa e che in alcuni momenti misero a rischio le
sicure entrate provenienti dalle tariffe. Proprio a causa del
possibile coinvolgimento nel conflitto europeo si rese necessario
approntare un piano finanziario che prevedeva il fatto che le spese
militari venissero coperte con l’emissione di titoli del tesoro
rimborsabili nel medio-lungo periodo e che nell’ottica repubblicana
non andassero ad aumentare le imposizioni in vigore, l’ammortamento
sarebbe infatti avvenuto tramite un sicuro e spontaneo aumento del
gettito delle importazioni e se nel caso vi fossero stati problemi
la reintroduzione di accise sarebbe servita a ripianare solamente il
debito. La guerra con la Gran Bretagna scoppiò nel giugno del 1812
cogliendo però impreparato il Dipartimento delle finanze che si era
visto bocciare i propri piani. La soluzione più logica fu quella di
aumentare i dazi del doppio rispetto la media precedente e di
imporre anche la tariffa di 1,5 $ a tonnellata sui bastimenti
stranieri, oltre a ricorrere all’emissione di titoli per milioni di
dollari, certificati che venivano usati anche come valuta per i
pagamenti pubblici. Nel 1813 si dovette ricorrere all’imposizione
diretta per raccogliere 5 milioni di dollari all’anno nonchè alla
reintroduzione delle accise.
Occorre ricordare che nel 1811 venne soppressa la banca centrale. La
Banca degli Stati Uniti, aveva catalizzato le antipatie di molte
persone soprattutto per l’eccessivo potere e privilegio che aveva
via via assunto. Il problema dell’antipatia degli americani per le
banche era radicato nel tempo proprio a causa dei privilegi che
venivano concessi loro dal potere politico che emetteva la licenza o
“chart” e per il fatto non indifferente in una società di common men
che le banche attirassero le speculazioni finanziarie e gli uomini
d’affari senza scrupoli24. La
soppressione della banca fu comunque un errore alla luce degli
eventi bellici, perchè mancando un controllo sulle emissioni di
banconote gli istituti di credito statali sia privati sia a capitale
misto iniziarono ad immettere nel mercato banconote non più coperte
da depositi (nel periodo 1812-15 la circolazione di cartamoneta
passò da 22,7 milioni a 99 milioni di dollari in tagli minimi da 5 $
a fronte di una popolazione di 8 milioni di abitanti). Già nel “14
l’inflazione era molto elevata e alcune banche rischiavano il
collasso. Dal punto di vista fiscale questo costituiva un serio
problema. Infatti la mancata convertibilità delle banconote emesse
dalle banche locali metteva in crisi i pagamenti dei tributi. Il
Tesoro per la esazione si appoggiava a 94 banche diverse sparse su
18 stati ed in ogni filiale doveva avere quattro conti distinti, per
motivi di
solvibilità tra i vari tipi di cartamoneta: uno per i pagamenti in
banconote della stessa banca, uno per quelle di altri emittenti, uno
per i biglietti di stato fruttiferi e uno per i non-fruttiferi25.
In difficoltà il governo si trovò ad imporre accise anche sulle
forniture domestiche.
La guerra contro la Gran Bretagna terminò con la vittoria degli
statunitensi nel 1815, e dimostrò che non si potevano affrontare
emergenze belliche con il consolidato metodo del ricorso al debito
ma occorrevano misure anche impopolari come l’imposizione diretta
che non era ben vista dai repubblicani-democratici. Quest’ultimi
dovettero rifondare la banca centrale nel 1816-17 dopo i disastri
causati dalla sua soppressione. La seconda Banca centrale degli
Stati Uniti ebbe una licenza ventennale e un capitale sociale di 35
milioni di dollari, di cui un quinto finanziato dal governo ed il
restante da capitale privato con pacchetto azionario massimo di
tremila azioni. Le sottoscrizioni private dovevano avvenire per il
25 % almeno in moneta metallica ed il restante in buoni del tesoro.
L’emissione di valuta federale di taglio minimo pari a 5 $ non
avrebbe dovuto eccedere il patrimonio ed in caso di inconvertibilità
avrebbe pagato un interesse mensile dell’1 %. Tale banca sarebbe
stata la depositaria di tutti i fondi federali e avrebbe concesso al
governo prestiti per un massimo di 500.000 $ . Anche questa
istituzione durò vent’anni e poi non venne rinnovata.26 Dopo la riproposizione dei problemi della guerra “12-“15, con un
servizio di tesoreria affidato a 34 banche statali, si stabilì nel
1846, con l’ “Indipendent Treasury Bill”, il sistema di
amministrazione fiscale federale destinato a rimanere in vigore fino
al 1921. Con esso si slegava il sistema dall’ausilio delle banche
locali e si imponeva l’esazione di imposte solo in moneta metallica
e biglietti federali, i “treasury notes”, ed i depositi dovevano
essere fatti in appositi uffici del dipartimento sparsi nel Paese.
Il periodo che va dalla fine della guerra nel 1815 alla recessione
del 1837, rappresenta per le finanze federali un ventennio molto
prospero, improntato ad un uso molto pregnante dei dazi doganali
come strumento proficuo per ricavare molte entrate. Furono proprio
le tariffe, come si vedrà in seguito a mettere in crisi il sistema
federale tra il 1828 ed il 1833. Le tariffe doganali nascondevano
due visioni contrapposte dell’economia statunitense, una improntata
all’industria , che richiedeva una adeguata protezione ed una
agricola, orientata al libero scambio e ciò fu aggravato dal fatto
che questi interessi erano ben localizzati geograficamente.27
Nel 1816 venne imposta una tariffa media del 20% sui prodotti di
importazione che sul tessile arrivava al 25 % con la determinazione
dell’imponibile minimo. Tale provvedimento aveva lo scopo dichiarato
di proteggere le manifatture sorte durante il conflitto. Nel 1824 si
passò da una media del 20 ad una del 33,3 % su prodotti quali i
tessili, il ferro, il vetro, il piombo e la canapa. L’escalation
culminò con le tariffe del 1828 dette “dell’abominio”28,
dai detrattori, che imponevano un dazio medio del 41% con gli
imponibili minimi prestabiliti. Il che fece scoppiare una violenta
protesta da parte degli stati del Sud, come si vedrà nel proseguo. A
seguito di compromessi parlamentari la tariffa fu rivista ed
abbassata al 33,3 % nel 1832 ed un anno dopo a seguito di continue
resistenze un nuovo compromesso la fece diminuire gradualmente in
dieci anni fino al 20 %.
Per quanto riguarda le spese federali dal 1791 al 1820 furono
erogati per lavori pubblici circa 15 milioni di dollari di cui la
metà dopo il 1815; la maggior parte degli investimenti riguardava la
costruzione o l’ammodernamento di strade interstatali e
l’edificazione di porti ed edifici pubblici. Vi è da osservare che
il governo federale non ricoprì un ruolo veramente attivo
nell’economia di questi anni ed in generale fino alla stagione del
New Deal. Sulla Questione dell’infrastrutturazione è interessante
notare che nel 1808 il Segretario del Tesoro Gallatin, compilò un
rapporto sul possibile sviluppo federale di arterie viarie e canali
in cui si prevedeva di stanziare circa 20 milioni di dollari. Il
piano prevedeva il compimento delle opere in 10 anni, tuttavia
l’ultima di quelle realmente realizzate fu terminata solo nel 1914 !
(il Canale di Cape Cod)29.
Infatti se le cifre possono impressionare è doveroso ricordare che
furono gli stati ad operare al proprio interno molte
infrastrutturazioni, e questo fino agli anni 40-60 del secolo XIX.
In campo sociale si era previsto un aumento delle pensioni per
veterani da 8 a 20 $ al mese con l’estensione dei benefici nel 1818
a tutti gli ex combattenti e non più soltanto agli invalidi.
Tra il 1828 ed il 1836 i bilanci federali registrarono ogni anno un
abbondante surplus, che dopo gli innumerevoli dibattiti di cui si è
riferito sopra, fu destinato oltre che al ripiano del debito, ad una
serie di “federal improvements” cioè di lavori pubblici destinati a
migliorare la cosa pubblica ed il benessere dei cittadini. Nel
periodo in questione si spesero circa 25 milioni di dollari,
suddivisi come segue:
- 6,8 milioni di $ per strade e canali
- 6,3 milioni di $ per forti ed arsenali
- 5,0 milioni di $ per la manutenzione di fiumi e porti
- 3,4 milioni di $ per la Cumberland Road
- 2,4 milioni di $ per fari costieri
- 1,2 milioni di $ per edifici pubblici civili30
In un’epoca di forte espansione economica, il surplus aumentava
oltre le previsioni. Il senatore Clay ed altri leader politici del
Nord, timorosi che un sempre maggiore avanzo di bilancio potesse
avere ripercussioni negative sulla politica daziaria federale e
quindi sulle politiche protezionistiche in atto, sostennero le
pressioni per una redistribuzione tra gli stati delle somme
incamerate in eccedenza. In un primo momento si pensò di concedere
trasferimenti di demanio federale, ma il Presidente Jackson pose il
veto sulla proposta del Congresso. Nel giugno del 1836 il Congresso
passo una legge proposta da Henry Clay, in cui, sempre per
utilizzare l’avanzo di bilancio, si contemplava la distribuzione tra
gli stati, in modo proporzionale alla rappresentanza parlamentare,
del surplus di bilancio annuale eccedente i 5 milioni di dollari.
Erogazioni da effettuarsi in quattro rate. Questo provvedimento fu
fatto passare al voto con lo stratagemma di considerare i
trasferimenti come prestiti senza interessi, a copertura di debiti
che gli stati avevano accumulato negli anni precedenti nell’opera di
modernizzazione delle rispettive giurisdizioni. Queste elargizioni
di denaro federale possono a giusto titolo considerarsi gli
antesignani dei federal grants – in – aid . Al 1 gennaio 1837 si
erano accumulati nelle casse del Tesoro 42,5 milioni di dollari
(pari al 137% delle spese federali del 1836), lasciando quindi 37,5
milioni da essere erogati. Il realtà la distribuzione effettiva fu
solo di 28 milioni a causa della crisi economica che si scatenò
nell’ottobre del 1837.31
La cosa non funzionò in realtà al meglio delle proprie potenzialità
perchè le amministrazioni statali con i fondi aumentarono le loro
iniziative in campo pubblico e non ripianarono i debiti .
Al periodo di forte espansione economica e di conseguenza fiscale
seguì a partire dal 1837 una stagione di depressione che durò sino
al 1840. Il governo per far fronte alle difficoltà di bilancio si
vide costretto a tagliare numerose spese tra cui, a causa
dell’esaurirsi del surplus, i lavori pubblici che avevano
contraddistinto la sua opera nel decennio precedente. Non volendo
gravare con imposte indirette sulla popolazione si ricorse
all’indebitamento per pareggiare il bilancio.
Il termine della recessione coincise anche con l’avvicendarsi al
governo del Partito Wigh32, che
rappresentava in prima istanza le aspirazioni dell’industria, e che
nel 1842 andò a modificare le tariffe doganali non tenendo conto del
compromesso del 1833.
Le tariffe furono radicalmente cambiate nel 184633 (tariffe Walker) e prevedevano una divisione dei beni importati, con
imponibile il prezzo reale, in categorie : lusso, semilusso,
manufatti, materie prime, prodotti di libera importazione. Le
aliquote variavano dal 100% dei generi di lusso al 5% delle materie
prime.
Se si osservano i dati dei bilanci tra il 1845 ed il 1860 si noterà
che la stragrande maggioranza delle entrate federali è data dai dazi
e che la voce di spesa che assorbe maggiori risorse è quella del
dipartimento della difesa e marina. Nel 1848, a seguito della guerra
con il Messico, gli USA assunsero la conformazione geografica
attuale, ma l’estensione territoriale fece aumentare le spese.
Il surplus che cominciò ad accumularsi dal 1850 consentì di avviare
una nuova serie di interventi pubblici. In totale nel periodo in
questione furono spesi in lavori pubblici non meno di 50 milioni di
dollari. La maggioranza al Congresso, nel 1854 formulò proposte di
passaggio di demanio federale agli stati per finanziare programmi di
welfare, ma queste vennero bocciate dal veto presidenziale. Medesimi
risultati ottennero disegni di legge tra il 1856 e 1860.34
Da questa lunga descrizione storica emerge immediatamente, come il
Governo Federale, che godeva di ampi poteri di tassazione, negli
anni in questione affidi le sorti delle sue entrate principalmente
alla politica daziaria. Tale prelievo rappresenta una media molto
alta del totale. Una delle ragioni di ciò deriva dal fatto che i
dazi costituivano un flusso abbastanza stabile e certo di entrate
perché l’esazione avveniva in ambiti ristretti e facilmente
controllabili. Un’altra ragione riguarda il fatto che le tariffe
costituivano uno strumento protettivo da parte del governo centrale,
dello sviluppo industriale nazionale. In pratica anche se il sistema
federale statunitense agiva secondo una classica impostazione
“duale”, garantiva un buon sviluppo economico: la federazione da un
lato, con le misure descritte, gli stati dall’altro con lo sviluppo
delle infrastrutture e la modernizzazione locale.
Come nota G. Brosio35, “Dal
1789 al 1913 il governo federale e quelli degli statali hanno
operato su un piano di indipendenza finanziaria”. Ciò derivava dalla
Costituzione Federale secondo cui nelle rispettive sfere di
competenza i due livelli di governo erano “sovrani” e “uguali” e più
ancora dal fatto che i rapporti tra livelli di governo non erano
collaborativi e talvolta anche conflittuali. E questa visione duale
non era solo finanziaria ma anche politica, giudiziaria ed
operativa.36
Finanziariamente il Governo Federale interagì con gli Stati solo in
specifiche situazioni di cui la prima anteriormente al 1789 (con cui
si concedeva parte del demanio federale per il finanziamento di
scuole pubbliche). Il secondo intervento fu il consolidamento dei
debiti statali nel 1790. Il terzo, fu l’assegnazione nel 1818 al
tesoro degli stati, del 5% delle entrate derivanti dalla vendita di
terreni pubblici. Il quarto atto del governo centrale fu la
distribuzione nel 1837, di parte del surplus di bilancio federale
tra i vari governi statali; misura che rappresentò un primo
tentativo di perequazione tra stati prima del “revenue sharing” del
1972.37 Se queste furono misure
contingenti, vanno in questa sede ricordati: la politica dei “land
grants” e delle erogazioni monetarie federali per la milizia
statale, che rappresentarono interventi federali di tipo
consolidato.
_____________________________________
11 Vedi Bailyn e Wood.
12 Vedi Studenski e Krooss, op.cit. pag. 62.
13 Vedi Bailyn e Wood, op.cit.
14 Può essere tradotto come comitato di controllo.
15 Vedi Studenski e Krooss, op.cit. pag. 48.
16 Vedi Bailyn e Wood, op.cit. pag. 339 e ss.
17 Vedi studenski e Krooss, op.cit. pag. 51.
18 Vedi Studenski e Kroos ; D.R. Stabile e J.A.Cantor “The public
debt of the United States” 1991. D.
Dewey “Financial History of the United States”, 1903. D. Dewey
nell’opera citata riporta i seguenti
dati sul debito consolidato:
STATO CONSENTITO DALLA LEGGE CONSOLIDATO
New Hampshire
$ 300.000
$ 282.596
Massachusetts
$ 4.000.000
$ 3.981.733
Rhode Island
$ 200.000
$ 200.000
Connecticut
$ 1.600.000
$ 1.600.000
New York
$ 1.200.000
$ 1.183.717
New Jersey
$ 800.000
$ 695.203
Pennsylvania
$ 2.200.000
$ 777.983
Delaware
$ 200.000
$ 59.162
Maryland
$ 800.000
$ 517.491
Virginia
$ 3.500.000
$ 2.934.416
North Carolina
$ 2.400.000
$ 1.793.804
South Carolina
$ 4.000.000
$ 3.999.651
Georgia
$ 300.000
$ 246.030
Totale
$ 21.500.000
$ 18.271.786
Dewey riferisce anche che per far passare tale misura sul debito,
Hamilton ricorse ad un compromesso
con i deputati e senatori degli stati del Sud, promettendo che la
capitale federale sarebbe stata edificata
in un territorio meridionale. Washington è edificata infatti tra
Maryland e Virginia, a sud della linea
geografica detta Mason-Dixon che divide formalmente Settentrione e
Meridione.
19 Vedi anche J.J.Wallis in “Environmental and public economies” di
Panariga-Portney-Schwab. 1999.
20 3 DALL. 171 (1796).
21 Vedi nota 14.
22 Vedi Studenski e Krooss, op.cit. e Bailyn e Wood, op.cit.
23 Vedi nota 16. Sull’argomento anche Morison e Commager, op.cit.
24 Vedi J.J. Wallis op. cit. e “American government finance in the
long run:1790 to 1990” in Journal of Economic Perspectives v. 14 n.1
2000 ; Studenski e Krooss, op.cit.
25 Vedi Studenski e Krooss, op.cit. pag. 80.
26 Vedi Studenski e Krooss, op.cit. pag. 83
27 Vedi Morison e Commager, op.cit; e Toninelli op.cit.
28 Vedi Studenski e Krooss, op.cit. pag.97; Toninelli, op.cit. ;
Morison e Commager, op.cit.
29 Vedi di C. Goodrich “Government promotion of american canals and
railroad”, 1960, pag. 28 e ss.
30 Vedi Studenski e Krooss, op.cit.
31 Vedi Studensky e Krooss, op.cit. pag. 101 e ss.
32 Vedi “Dizionario Mondadori di Storia Universale” di M.Mourre.
33 Vedi Studenski e Krooss, op.cit. pag. 122.
34 Vedi studenski e Krooss, op.cit. pag. 124; e D.B. Walker “The
Rebirth of Federalism” 1995 . Nel 1854 il Presidente Pierce pose il
veto su una legislazionea favore di persone affette da malattie
mentali. Il suo successore J.Buchanan, pose il veto sul contributi
agli stati per la pubblica istruzione. Buchanan giustificò il veto
affermando “Quando i governi degli stati guardano al Tesoro Federale
per i mezzi di supporto e mantenimento dei propri sistemi educativi
…. il carattere di entrambi i governi ne diviene gravemente
deteriorato.”
35 G. Brosio “Governo decentralizzato e federalismo” in Quaderni ,
pag. 248.
36 Vedi D.B. Walker op.cit. pag. 67 e ss.
37 Vedi D.B. Walker op.cit. pag. 71.
|
|